La nuova era della competitività aziendale

Riprogettare le imprese integrando economia e impatto sociale per un futuro sostenibile
December 29, 2025
La nuova era della competitività aziendale
Cosa significa oggi far funzionare un’impresa? Trovarsi a operare in un contesto segnato da sfide profonde che richiedono un'azione immediata. Le preoccupazioni chiave includono minacce e opportunità legate all'intelligenza artificiale, al mondo del lavoro, alle disuguaglianze etniche e di genere, alla povertà globale, ai conflitti, alla fame e al surriscaldamento globale. Risultano, tra l’altro, tutte interconnesse e formano un ciclo potenzialmente distruttivo. Occorre quindi un cambio di passo urgente e significativo, per questo Cfmt-Centro Formazione Management del Terziario - ha pubblicato un volume dal titolo La sfida sociale frutto della ricerca condotta all’interno dell’Osservatorio sulla competitività delle imprese dei servizi, che affronta il tema. 
Il modello capitalistico che conosciamo ha fatto il suo corso e molti sono gli autori che in anni recenti si sono chiesti se le imprese stiano ancora lavorando nell’interesse della società. Siamo all’alba di una nuova era che richiede un nuovo sistema in cui le aziende generino valore per la collettività tutta e non solo per gli azionisti. 
Il professor Fernando Alberti, uno degli autori ritiene che «modelli e logiche tradizionali non sono più sufficienti per garantire competitività, legittimità e capacità di generare valore nel tempo: servono quindi nuovi paradigmi strategici, in grado di integrare obiettivi economici e impatto sociale attraverso una collaborazione strutturata tra attori diversi dallo stesso ecosistema».
La professoressa Federica Belfanti, altra autrice del volume, sottolinea che «questo contributo è il risultato di un lavoro di ricerca che combina teoria, osservazione empirica e analisi di imprese, tra casi di enorme successo e fallimenti rapidi e inattesi analizzando il loro purpose, sostenibilità e impatto e ciò che realmente orienta le loro decisioni, perché il nostro obiettivo è offrire una riflessione strategica utile a riallineare intenzioni, scelte e risultati, secondo la logica della creazione di valore condiviso».
Questo libro rappresenta una provocazione per stimolare soluzioni che spingano le aziende a creare nuove leve utili a fornire risposte efficaci. Non è possibile certamente sostituire l’attuale sistema capitalistico, ma possiamo provare a cambiare il modo di fare impresa per tornare a generare valore, facendolo evolvere e rimettendo al centro la società. Dobbiamo coltivare leader che vivano la propria carriera come una vocazione a guidare aziende con successo. 
Nicola Spagnuolo, direttore del Cfmt, infatti sostiene che «abbiamo voluto dare vita all'Osservatorio nazionale sulla competitività delle imprese dei servizi nel 2019 per fornire strumenti e soluzioni pratiche alla comunità di imprese, imprenditori e manager operanti nel terziario in Italia per anticipare e affrontare i nuovi trend e i cambiamenti in atto nello scenario globale».
L’obiettivo è fornire strumenti, modelli a chi, nel proprio ruolo, è chiamato a riallineare intenzioni, scelte e risultati, con l’ambizione di contribuire a una nuova generazione di imprese capaci di produrre valore duraturo per l’economia e per la società. Manager e imprenditori attraverso questo volume troveranno indicazioni concrete su come trasformare alcune procedure in quest’ottica, ripensando strategie e modelli di business, introducendo le innovazioni di cui il mondo oggi ha bisogno e generando valore per tutti gli stakeholder.
La sostenibilità è in crescita.  L’analisi condotta da Cfmt, in collaborazione con SosteniAbilita, offre un’indagine approfondita sullo stato di integrazione della sostenibilità nelle aziende italiane. Attraverso un questionario articolato in 21 domande sono state raccolte le risposte di 300 delle sue associate, tracciando un quadro dettagliato delle strategie adottate in tal senso. La ricerca ha rivelato che quasi il 73% delle società ha già implementato o sta pianificando di attuare una politica di sostenibilità: questo dato non solo segna un passo importante verso l’integrazione delle considerazioni di sostenibilità nella strategia e operatività di impresa ma mette anche in luce una correlazione significativa tra la dimensione aziendale e la predisposizione ad adottare tali pratiche, delineando così un futuro in cui il livello di competitività si è spostato su questo tema. Il campione è composto prevalentemente da aziende del Nord Italia (85%), seguito dal Centro (11%) e in misura residuale dal Sud e Isole. Circa il 55% dei partecipanti conta più di 100 dipendenti, di cui oltre il 40% supera i 250 e, dal punto di vista economico, il 64% degli intervistati vanta un fatturato superiore ai 25 milioni di euro, con 1/3 che supera i 125 milioni di euro; tra i settori maggiormente rappresentati prevalgono i servizi alle imprese (circa 1/3), seguiti da beni industriali ed energia (17%) e dal commercio di largo consumo (13%).
Il 54% delle aziende che hanno già implementato una politica di sostenibilità ha più di 250 dipendenti, quindi risultano più strutturate, spesso dotate di maggiori risorse finanziarie e umane, perciò privilegiate in tal senso. La loro capacità di investire in infrastrutture, formazione e consulenze esterne facilita l'integrazione della Sostenibilità nel loro modello di business. Se poi appartengono a gruppi più ampi esercitano anche una significativa influenza sulle loro sussidiarie e affiliate, promuovendo una cultura della sostenibilità che si riflette in tutta l'organizzazione. La condivisione delle best practice tra le aziende afferenti a uno stesso gruppo può pertanto accelerare il processo di transizione verso modelli più virtuosi dato che del 71% delle imprese che ha adottato strumenti operativi come la matrice di materialità solo il 34% lo ha poi definito. Sussiste quindi ancora un divario significativo tra gli intenti strategici che delineano un impegno crescente del settore e la loro effettiva implementazione concreta. Le imprese in generale però si mostrano attive rispetto a strategie di efficientamento, risparmio energetico e riduzione degli sprechi, adozione di un qualche tipo di rating ESG e condivisione degli obiettivi di sostenibilità almeno con gli stakeholder interni. Infatti, per quanto riguarda la governance, il 38% delle aziende ha istituito un Comitato di Sostenibilità, che sale al 59% tra le aziende con più di 250 dipendenti e, in termini organizzativi, il 30% dispone in organigramma un ruolo o una funzione di Responsabile ESG / Sostenibilità
Il 55% delle aziende intervistate già̀ emette una qualche forma di Rendicontazione di Sostenibilità, sia essa la ex dichiarazione non finanziaria, il report di sostenibilità, la relazione di impatto o il bilancio sociale, e questo avviene per il 20% su base obbligatoria (il 68% sono realtà con più di 250 dipendenti) e per il 35% su base volontaria (il 20% con meno di 50 lavoratori, per motivazioni strategiche o di filiera). 
Il principale impatto positivo percepito è di natura reputazionale (41%): gli investitori infatti risultano sempre più attenti alle scelte etiche delle imprese così come i clienti; segue la diminuzione dei costi e delle inefficienze (18,2%), ricadute favorevoli su fatturato e utili (5,6%), mentre il 2,1% non ne ravvisa nessuno se non che una prima barriera culturale sia stata superata.  
Oltre il 67% dei rispondenti rileva anche la presenza di impatti negativi dall’integrazione della sostenibilità: a causa di un aumento dei costi (38%), per la perdita di competitività (12,2%), per l’incremento dei rischi (11,5%) e per la diminuzione di fatturato (5,6%), almeno nel breve periodo. Di buon auspicio però il 22,5% che non risente di particolari fattori negativi. Infatti, se pur permane la percezione ambivalente sull’impatto della sostenibilità tra rischi e costi ravvisabili nel breve periodo, si riconoscono anche grandi opportunità su orizzonti più lunghi.
Va considerato che le resistenze principali e le criticità legate all’integrazione della sostenibilità sono attribuibili alla complessità normativa (23%), che sale al 47% delle aziende con oltre 250 dipendenti e alla mancanza di competenze e risorse (15,8%), pari al 49% per quelle che ne hanno meno di 50, seguite da resistenze culturali varie. 

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