martedì 7 gennaio 2020
Lo spumante dolce punta a tornare a 100 milioni di bottiglie annue e il Consorzio lancia una nuova campagna di promozione per rafforzare l'identità. Dopo il Secco, da quest'anno nuove tipologie brut
Una foto delle "cattedrali sotterranee" nelle cantine Coppo di Canelli

Una foto delle "cattedrali sotterranee" nelle cantine Coppo di Canelli

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Il lato dolce del Piemonte è annidato tra le province di Asti, Alessandria e Cuneo. Sono le terre del Moscato bianco, vitigno antico da cui derivano due prodotti-sovrani delle feste (ma non solo): l’Asti Docg e il Moscato d’Asti. Spumanti fortemente identitari che cercano un riscatto in un mercato dove la concorrenza si fa sempre più difficile. L’obiettivo è tornare a quota 100 milioni di bottiglie annue, resa massima in base ai 9.700 ettari, in 51 Comuni, sui quali si sviluppa la Denominazione; quota che fu toccata nel 2011 (103 milioni) prima di una lenta perdita. A Palazzo Gastaldi, edificio liberty (sede del Consorzio dell’Asti e Moscato d’Asti Docg) dove ancora si respirano atmosfere d’altri tempi, si ragiona appunto sulle strategie per rilanciare le vendite e, con esse, il lavoro.

«È vero, dal punto di vista del mercato c’è un po’ di crisi sull’Asti che comunque si sta riprendendo, mentre il Moscato non ha problemi», commentano all’unisono Romano Dogliotti, capelli bianchi ancora un po’ lunghi e la stoffa del vignaiolo, presidente del Consorzio e titolare dell’azienda “La Caudrina” davanti al Monviso, ereditata da papà Redento (con «la sua immagine di granatiere lituano», come di lui scrisse Mario Soldati), e il vicepresidente Stefano Ricagno, reduce da un successo professionale (lo scorso novembre il suo “Acquesi” della cantina Cuvage di Acqui è stato premiato a Londra come miglior bollicina aromatica al mondo). «L’annata è stata buona e finalmente, malgrado i cambiamenti climatici, siamo tornati a vendemmiare a settembre con la temperatura già scesa specie di notte, cosa che garantisce un prodotto migliore», aggiunge Dogliotti.

Per garantire l’inconfondibile dolcezza, calibrandola però ai tempi attuali, da queste parti è massima l’applicazione, a partire dai tempi di Carlo Gancia che qui, nel XIX secolo, inventò il primo spumante italiano “metodo classico”. Così, a esempio, per attirare il pubblico più giovane e meno “votato” al dolce ci si appresta a tagliare l’indice zuccherino, modificando il disciplinare per introdurre nuove tipologie Brut e Pas dosè (potrebbero debuttare a partire dalla vendemmia 2020). Accorgimenti studiati – dopo il lancio da un paio d’anni dell’Asti secco – per recuperare quote di mercato. Gli ultimi dati ufficiali (2018) parlano di 87,68 milioni di bottiglie: 54 milioni d’Asti (fra dolce e secco), di cui le 5 maggiori case vendono l’83%, e 33,5 di Moscato, cresciuto negli ultimi anni ma non tanto da compensare le perdite del “fratello maggiore” (nel 2011 le bottiglie d’Asti erano 77 milioni). Eppure, un prodotto così tipico per l’80-85% ha sbocco sui mercati esteri. L’Asti Docg dolce è esportato prevalentemente in Europa, con in testa Russia (21%) e Germania (13%), seguiti dal 10% degli Usa che invece spadroneggiano sul Moscato (non prodotto dalle due grandi aziende Martini e Campari, ma che vede una capillare attività di piccoli produttori): da soli gli Stati Uniti assorbono il 66% del prodotto, seguiti da Italia (11%) e Corea del Sud (5%). L’Asti secco infine, a conferma di un gusto nazionale più orientato al dry, vede in testa ai consumi l’Italia (58%), seguita da Giappone (16%) e Sud Corea (5%), mentre stenta il decollo in Cina.

Una tendenza – il secco – che, oltre ad aver generato qualche polemica con il veneto Prosecco, non convince però produttori storici come Paolo Coppo, uno dei titolari dell’omonima cantina che, al pari della Contratto, è scavata nel tufo della collina di Canelli, in quel dedalo di gallerie ribattezzate “cattedrali sotterranee” e dichiarate dall'Unesco “Patrimonio dell’umanità” che custodiscono un tesoro di oltre un milione e mezzo di bottiglie. «L’Asti è una bollicina dolce, punto. E non ha senso inseguire altro, noi che siamo l’università del vino spumante», dice Coppo. Ecco innestarsi qui l’altro ramo della promozione: accanto alle nuove tendenze, la riscoperta della tradizione. Anche sul territorio: con un occhio ai flussi turistici il Consorzio ha deciso di allestire rotonde stradali con il marchio, rinnovato quest’anno. C’è poi chi ha puntato sui “vigneti eroici”, i Sorì, quelli con pendenza maggiore del 50% (sono 336 ettari) e vecchi di 40 anni almeno, come per le 64mila bottiglie della Collezione speciale di Martini. Un’altra scelta è lavorare sulla longevità, portando sul mercato moscati di 16 e anche 20 anni. Infine, c’è chi punta sulla valorizzazione delle singole identità, vedi la nuova Docg territoriale del Moscato di Canelli che, dopo una gestazione ventennale, ha avviato l’iter di riconoscimento. Un nuovo moscato che nasce per riscoprire “quello di una volta”.



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