martedì 14 maggio 2013
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«Non è il momento di approntare nuove riforme del mercato del lavoro, basta la manutenzione. Occorre piuttosto prendere in carico il problema dei giovani per aiutarli a trovare un’occupazione». Carlo Dell’Aringa, docente di Economia politica alla Cattolica di Milano ha collaborato all’elaborazione del rapporto-proposta e, da due settimane, è sottosegretario al Lavoro.Più contrattazione aziendale e territoriale, meno peso ai contratti nazionali, si dice nel rapporto: è questa la via da perseguire?Dobbiamo recuperare produttività. L’ultimo rapporto Ocse mette bene in evidenza come l’Italia sia stato il Paese con la più bassa crescita della produttività negli ultimi 10 anni. I fattori che concorrono all’aumento del Pil pro-capite sono ovviamente diversi, ma le relazioni industriali possono giocare un ruolo importante. A due condizioni: la prima è che tutte le parti sociali si impegnino, senza esclusioni; dall’altro si trovi un giusto equilibrio tra tutela dei salari a livello nazionale e decentramento a livello locale o aziendale, grazie al quale è possibile recuperare produttività.Fra le proposte c’è anche il nuovo strumento dei “contratti relazionali”: è un modello realistico o solo una suggestione?Credo sia qualcosa che si possa sperimentare. Si tratta di sviluppare la partecipazione nelle imprese e una loro maggiore responsabilità sociale nei confronti dei collaboratori e del territorio su cui insistono. Con un ritorno positivo per tutti i soggetti.Nel rapporto si sostiene che la lotta alla precarietà vada fatta più con strumenti culturali che non normativi. È così?L’Italia ha sempre posto un accento eccessivo sulla normativa, sovraccaricandola di responsabilità e ruolo, come se la legge, di per sé, potesse realizzare quanto la Costituzione prevede per il lavoro. Fare oggi altre riforme sarebbe quindi sbagliato. Dobbiamo concentrarci sull’implementazione e sugli eventuali aggiustamenti necessari, cercando di sviluppare in particolare i servizi per l’impiego, l’apprendistato, la transizione dalla scuola al lavoro. In questo quadro, la flessibilità è anche un investimento, un sacrificio da fare oggi, in vista di un bene futuro all’interno di un rapporto di fiducia e collaborazione. La cattiva flessibilità, invece, va contrastata soprattutto con le sanzioni.Lei collaborò con Marco Biagi anche alla stesura del Libro bianco sul mercato del lavoro del 2001. Pare di cogliere una continuità di pensiero tra le due ricerche: alcuni suggerimenti possono essere colti dal governo per agevolare la crescita dell’occupazione?È vero, c’è una continuità di pensiero che parte anche da prima, dal pacchetto di Tiziano Treu del 1997. Ora direi che la gran parte delle innovazioni che andavano apportate al nostro mercato del lavoro sono state fatte. Restano solo il monitoraggio e gli interventi «con il cacciavite» come ha detto il presidente Enrico Letta, per stringere qualche vite. Bisogna invece concentrarsi sull’occupabilità e la partecipazione. Cogliendo l’occasione del programma europeo della “Youth guarantee”, dobbiamo costruire una “macchina” che prenda in carico i giovani e li aiuti a trovare la formazione più adatta e utile, li accompagni a trovare un lavoro. È questo l’impegno del governo, spingendo lo sguardo un po’ lontano (per quanto ci sia permesso...). Adesso stiamo cercando i fondi per rispondere all’emergenza della Cassa in deroga. Ma subito dopo convocheremo le parti sociali per concordare un piano sui giovani e l’occupazione, che parta possibilmente entro l’estate.
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