lunedì 19 novembre 2018
Determinante il successo della campagna partita sei anni fa dai campus universitari Usa. Le orgnaizzazioni religiose aderenti sono il 28%
Investitori cattolici leader nella finanza senza fossili
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Se l’utilizzo dei combustibili fossili (carbone, petrolio, gas) è il principale responsabile del riscaldamento globale e quindi del climate change, la costruzione di un modello di sviluppo più sostenibile non può prescindere dalla transizione verso le fonti rinnovabili di energia. Perciò occorre spostare risorse, cioè disinvestire, dalle prime e immetterle, reinvestendole, nelle seconde. Per questo il disinvestimento dalle fonti fossili di energia è diventato una delle principali strategie utilizzate dagli investitori istituzionali internazionali per decarbonizzare i propri asset, costruendo portafogli d’investimento meno impattanti quanto a emissioni di CO2. A tal fine è stato determinante il successo della campagna per il fossil fuel divestment, partita sei anni fa dai campus universitari statunitensi e diffusasi rapidamente in tutto il mondo, arrivando a rappresentare il più grande fenomeno di massa nella storia della finanza sostenibile.Gli ultimi dati sulla campagna (consultabili su www.gofossilfree.org) dicono che hanno aderito al divestment, oltre a poco meno di 60mila investitori individuali, un migliaio di investitori istituzionali, che gestiscono asset per oltre 7 trilioni di dollari (7mila miliardi). Quattro anni fa tali asset superavano appena i 50 miliardi di dollari, il che significa che nel periodo sono cresciuti di 120 volte. Ora l’obiettivo della campagna è arrivare ai 10 trilioni di dollari nel 2020, chiedendo agli investitori di indirizzare almeno il 5% dei loro portafogli verso la transizione alle rinnovabili.Fra i maggiori protagonisti della campagna vi sono stati fin dall’inizio gli investitori religiosi: le organizzazioni faith-based rappresentano il 28% di quelle aderenti al divestment, seguiti da enti filantropici (17%), amministrazioni pubbliche e istituzioni educative (15%). In ambito cattolico, in risposta all’appello di Papa Francesco nella Laudato si’ (invita alla sostituzione della tecnologia basata sui combustibili fossili «progressivamente e senza indugio», par. 165), sono più di 120 le istituzioni, fra cui numerose italiane, che hanno aderito al divestment, grazie all’azione del Movimento Cattolico Mondiale per il Clima (Gccm), che raggruppa oltre 650 organizzazioni cattoliche internazionali. L’opera di sensibilizzazione di Trocaire, ong della Chiesa cattolica irlandese, è stata ad esempio fondamentale nell’approvazione della legge (Fossil fuel Divestment Bill) che ha fatto dell’Irlanda il primo Paese al mondo a bandire gli investimenti in società delle energie fossili, uno dei maggiori successi della campagna.In vista della Cop24 di dicembre in Polonia, a fine ottobre sei Presidenti delle Conferenze episcopali internazionali raggruppate per continente, fra cui il cardinale Angelo Bagnasco (presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa), hanno firmato un appello per un’azione climatica ambiziosa e urgente. Fra le richieste: implementare un cambiamento paradigmatico delle finanze in linea con gli accordi globali sul clima; e trasformare il settore energetico, ponendo fine all’era dei combustibili fossili.

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