lunedì 17 settembre 2012
​A 89 anni, il presidente della fondazione "Italia-Cina" guarda al futuro: «Altro che spread. Ritroviamo l'orgoglio e rifacciamo l'Italia. Occorre liberare la forza dei giovani»
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​«È il momento di rifare l’Italia. Come nel Dopoguerra serve un grande Piano Marshall che liberi la forza e l’entusiasmo dei giovani. E accenda l’amore per questo Paese». L’ottuagenario Cesare Romiti, simbolo della Fiat dell’Avvocato Agnelli e della grande industria italiana, non si perde nei ricordi. Ma guarda avanti: il futuro è in una «rivoluzione», poco economica e molto «romantica», mossa dall’orgoglio, la fiducia, la voglia di riscatto di ogni italiano. Alle spalle della scrivania, nel suo studio milanese, ha appeso un quadretto con una frase in francese che ne segna lo stile: «L’esempio è la più alta forma di autorità». Sui muri gli «esempi» sono in tre foto personali. Con l’Avvocato, con Cuccia, con Papa Wojtyla. L’industria, la finanza, la fede. Un percorso che va ben oltre l’economia. L’appuntamento è per parlare di industria, del futuro dell’industria, ma l’ex manager, oggi alla guida della Fondazione Italia Cina, sposta l’asticella più in alto. A ottantanove anni – nell’«età dell’anzianità», sui canoni tracciati dal «meraviglioso lavoro» del Cardinale Carlo Maria Martini, scomparso da pochi giorni – ha ceduto alla «tentazione» di scrivere le sue «confessioni» (Storia segreta del capitalismo italiano, con Paolo Madron, Longanesi, 2012) «per aiutare i giovani a capire meglio il mondo che li circonda».

Presidente, qual è l’immagine più forte della storia dell’economia italiana che può diventare un esempio oggi per i giovani?

Alla fine della Seconda guerra mondiale l’Italia era un’economia agricola, con l’aggravante di essere un Paese distrutto. Eppure quindici anni dopo era entrata nei primi dieci Paesi più industrializzati del mondo. Parlare di miracolo forse era improprio. Ma quel salto aveva l’aspetto di un miracolo. Tutta la società italiana aveva voglia di fare, più che di ragionare. Voleva rimboccarsi le maniche e costruire.

Dov’è finita la grande industria che ha fatto grande l’Italia?

Non c’è più. È rimasta l’Eni, sicuramente fra i colossi internazionali.

E la Fiat?

Non lo è più. È stata la più grande fino agli anni ’90. Oggi no, purtroppo no. I fatti stanno sotto gli occhi di tutti.

Colpa del mercato dell’auto in crisi in mezza Europa?

Non c’entra. Quando un’industria automobilistica per due anni sospende la progettazione, perché c’è crisi di vendite, ha decretato la morte dell’azienda. Si è tagliati fuori… E i sindacati, tranne la Fiom, con la loro inerzia hanno facilitato quello che è successo. Stop.

Ok, lasciamo il Lingotto, specchio di un Paese in forte difficoltà. Perché da 15 anni non cresciamo?

Uno dei fattori poco economici ma importanti per il "costume" economico arriva da Tangentopoli. La magistratura cercò di colpire la corruzione, ma non perseguì allo stesso modo la concussione. Per risanare lo Stato bisognava colpire la concussione. I piccoli e medi imprenditori erano e sono schiacciati dall’intreccio appalti-politica.

Toghe a parte, colpe economiche?

Le stock option.

I premi in azioni?

Non si stupisca. L’introduzione delle stock option ha contribuito a minare l’industria dalle fondamenta. Agnelli me le propose decine di volte… Io dissi sempre di no. Mi terrorizzava l’idea che nel dover prendere decisioni potessi inconsapevolmente pensare ai miei rendimenti. Oggi si propongono stock option legate anche a risultati di brevissimo periodo. In questo modo l’impresa è diventata sempre più un fatto finanziario e non manifatturiero.

La finanza ha cambiato tutto?

Tutto. Il deterioramento del mondo economico è cominciato quando la finanza ha preso il sopravvento. Perché con la finanza si può guadagnare di più e più velocemente. Io ho avuto grandi collaboratori in campo finanziario. Ma non ho mai pensato di considerarlo come il lavoro principale della Fiat. A noi interessava progettare, costruire e vendere. La finanza era necessaria. Ma non fondamentale.

Insomma, è la stessa industria a implodere?

Esattamente.

Fattori esterni?

Beh, il sistema infrastrutturale non ha aiutato. Abbiamo realizzato l’Autostrada del Sole in poco tempo, con un lavoro incredibile. Poi ci siamo fermati e la Salerno-Reggio Calabria è ancora lì. Lo stesso per i treni. Purtroppo è arrivato un momento in cui il Paese si è bloccato. In tutti i campi. Ed è subentrata un’altra concezione della vita.

Un altro esempio?

Nel credito. Trenta, quarant’anni fa i banchieri facevano i banchieri. In grande o in piccolo. Lo facevano guardando al territorio e alle persone. Oggi fanno altro. Fanno i consulenti. Di peggio, gli avvocati.

La crisi ci obbliga a voltare pagina…

Sì, ma non so…

Pessimista?

No, preoccupato.

Come giudica i passi del governo tecnico?

Monti va benissimo. Anzi, è stata una operazione brillantissima. E c’è stato un recupero di immagine all’estero enorme.

E le riforme?

Tutto necessario. Ma aggiungo: non sufficiente.

Perché?

L’Italia non può misurarsi solo con lo spread. Oggi c’è bisogno di far tornare gli italiani a lavorare. Di dare opportunità e speranza a milioni di giovani e meno giovani che non sanno cosa fare.

Ci vorrebbe una bacchetta magica…

È una questione di metodo: basta ragionare da economisti. I cicli economici crescono poi scendono, poi si riprendono. Li leggiamo così perché li vediamo a posteriori. Ma chi fa muovere i cicli economici? Sono gli uomini. In questo momento non possiamo aspettare che il ciclo economico si riprenda. Siamo noi che possiamo determinarlo o no. Alla fine della guerra l’Italia si è salvata con il Piano Marshall. Ecco, oggi è il tempo di un nuovo Piano Marshall, che chiamerei "Rifare l’Italia".

Allora gli aiuti arrivarono dagli Usa, oggi chi paga?

Non parliamo di aiuti ma di una scintilla che accenda il desiderio, appunto, di rifare l’Italia.

Chi può avere questa forza?

Chi è creduto dalla gente. E quindi anche questo governo. È autorevole per farlo, partendo da agevolazioni, sgravi, incentivi che facciano muovere gli italiani, perché ci guadagnano, perché conviene anche a loro migliorare il Paese, anche partendo dalla loro piccola comunità. Ridiamo entusiasmo e fiducia a imprese e cittadini. Gli italiani nei momenti più difficili sanno unirsi e reagire con orgoglio. Basti pensare all’alluvione di Firenze e al salvataggio corale del patrimonio librario nazionale.

Non è una ricetta economica.

Lo so, è politica.

Quasi romantica...

Sì, ma le rivoluzioni partono da ragioni ideali, non economiche. Bisogna andare al cuore degli italiani, dei giovani. Sono loro la forza del Paese. E solo così l’Italia troverà la forza di un nuovo boom.

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