venerdì 19 agosto 2011
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«La situazione economica in Europa è molto seria, certo, ma non occorre sottovalutare il peso delle decisioni prese lo scorso 21 luglio. È davvero troppo presto per dire che la strategia elaborata il mese scorso sia già fallita». Jean Pisani-Ferry, fra i più autorevoli economisti francesi, giudica prematuri certi toni allarmisti impiegati in questi giorni. Direttore a Bruxelles del think tank paneuropeo Bruegel sulle politiche economiche nel Vecchio continente e docente all’Università di Parigi-Dauphine, Pisani-Ferry considera «importanti» le mosse già approvate sul rafforzamento del Fondo di stabilità finanziaria e l’emergenza greca.Professore, nella scia del 21 luglio, Germania e Francia hanno lanciato nuove proposte come quella sulla Tobin Tax. Che cosa ne pensa?La proposta di tassare le transazioni finanziarie è stata una mossa politica che a mio parere non ha molto a che vedere con la crisi. Ben più importante è l’annuncio sulla creazione di una presidenza economica stabile per la zona euro. Si tratta di un embrione di struttura più vincolante e solida, interpretabile come una tappa verso future decisioni più forti. Ciò giova alla credibilità della zona euro.Pare invece sfumare per ora l’ipotesi degli eurobond. L’Europa può avanzare senza una mutualità dei debiti pubblici?Credo che l’Europa possa permettersi ancora di evitare questa scelta che sarebbe estremamente pesante. Questa decisione potrebbe divenire necessaria, ma occorre rendersi conto delle sue considerevoli conseguenze politiche. Ciò equivarrebbe in sostanza al permesso concesso da ogni Paese ai propri partner per un accesso alla propria base fiscale. È una misura che può essere concepita solo con contropartite estremamente forti. In questo scenario, in particolare, se la legge finanziaria di un Paese non è giudicata credibile dai suoi partner, dovrebbe poter essere annullata. Berlino e Parigi difendono adesso l’idea d’imporre il pareggio di bilancio a livello nazionale. Un pericolo per la crescita?Occorrerà trovare un difficile equilibrio. Credo che la nuova direttrice del Fmi, Christine Lagarde, abbia ragione nel sottolineare i rischi per la crescita legati a un eccessivo rigore. Occorre mantenere dei margini di manovra ed evitare di prendere decisioni immediate dagli effetti nocivi.In mezzo alle nuove turbolenze, la Banca centrale europea ha un ruolo nuovo da giocare?La Bce pare già oggi l’istituzione più forte sul fronte della crisi, con un ruolo eccezionale rispetto a quello ordinario di una banca centrale. Non è una situazione normale, ma è la crisi ormai ad imporlo.C’è chi parla di equilibri nel direttorio Bce ancora fragili... Sono d’accordo e resteranno probabilmente delicati. Le decisioni ad esempio di acquisire obbligazioni nazionali del debito non sono state prese in modo unanime. Anche per gli orientamenti futuri della Bce, ci troviamo di fronte a un bivio. A proposito del debito pubblico, in Italia molte voci sottolineano che la solidità di un Paese si misura anche attraverso tanti altri fattori. Che cosa ne dice? Il debito pubblico non è certamente l’unico fattore chiave, ma attualmente è quello più esposto allo sguardo dei mercati. Sono d’accordo sul peso di altri fattori, come ad esempio il grado d’indebitamento privato, a lungo trascurato e che ha poi contribuito alla crisi in Paesi come l’Irlanda e la Spagna.L’atteggiamento dei mercati è pervaso ormai da una certa irrazionalità?Parlerei soprattutto di esagerazione. I mercati sono stati fin troppo calmi verso i debiti pubblici nei primi anni dell’euro e oggi eccedono in senso opposto. Ma non si tratta di paure del tutto irrazionali. L’economia americana pare rallentare. Si rischia davvero una ricaduta mondiale nella recessione?Il rallentamento è chiaro, ma per ora è prematuro parlare di ricaduta.C’è chi invoca nuove decisioni del G20 sotto presidenza francese. Può davvero contribuire a un rilancio della crescita? Occorre auspicarlo ed è in effetti una questione chiave. Ma non sarà affatto semplice per il G20, perché la politica interna è ritornata prioritaria quasi dappertutto. Riappaiono inoltre chiare tensioni fra le economie industrializzate e quelle emergenti.
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