giovedì 26 gennaio 2023
Secondo un rapporto Consob, oggi è alta la quota di preferisce non investire, pur rischiando di perdere potere d'acquisto. Cresce al 37% la percentuale di famiglie fragili
L'Italia campione del mondo nel 1982

L'Italia campione del mondo nel 1982

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Magari ci si lamenta con i vicini degli aumenti incontrollati dei prezzi o si fanno considerazioni un po’ superficiali di politica economica. Eppure, come paralizzati dall’inflazione a due cifre e spesso senza una formazione finanziaria adeguata, gli italiani che negli ultimi anni sono riusciti a risparmiare qualcosa non sanno esattamente come gestire le proprie finanze in termini di investimenti. Per questo, molti lasciano semplicemente tutto il proprio denaro sul conto corrente, con la certezza però di perdere, inconsapevolmente, potere d’acquisto. Secondo un Rapporto Consob sulle scelte di investimento delle famiglie 2022, addirittura l’80% del campione ritiene «complessa» la gestione delle finanze personali «anzitutto a causa del contesto incerto e della crescita dei prezzi». Il 65% sembra comprendere gli effetti dell’inflazione, schizzata al 12,3% a fine 2022 e con un tasso medio, lo scorso anno, dell’8,1%, ai massimi dal 1985. Ma tra gli investitori che preferiscono detenere i propri risparmi in un conto corrente (21%) e tra quanti indicano l'inflazione tra i fattori di difficoltà nella gestione delle finanze personali (21%), rispettivamente più di un terzo e circa un quarto non coglie l'impatto della crescita dei prezzi sul proprio potere di acquisto.

Eppure, sottolineano gli esperti, se considerassimo un tasso di inflazione costante vicino al 10% annuo, già dopo poco più di cinque anni avremmo perso il 50% del potere d’acquisto dei nostri risparmi, per il costante aumento dei prezzi a parità di capitale fermo sul conto corrente. Mantenere i risparmi in liquidità, sui conti correnti o in contanti, è una scelta che quindi impoverisce, a parità di patrimonio. Tra i principali nodi c’è quello delle conoscenze finanziarie, che sebbene in lieve crescita non sono ancora sufficientemente diffuse né rispetto ai concetti di base (ad esempio, la nozione di diversificazione degli investimenti è compresa solo dal 50% degli intervistati) né rispetto agli strumenti finanziari (la quota di risposte corrette a domande su conto corrente, azioni, obbligazioni e fondi comuni di investimento rimane al di sotto del 60%) né rispetto alle dimensioni del rischio finanziario (in particolare, la percentuale di intervistati che ha familiarità con le nozioni di rischio di credito, di mercato e di liquidità oscilla tra il 20% e il 49%).

Già vincolare attualmente del denaro su dei conti deposito, garantirebbe quanto meno il recupero di circa il 3-4% dell’inflazione: non è moltissimo, ma sempre meglio della totale liquidità. Anche i Bot rendono circa il 3%, mentre cedole più sostanziose, perché legate all’andamento dell’inflazione, arriveranno a chi ha investito nel recente Btp Italia dello scorso novembre. Certo, nel 1985 un Bot annuale rendeva circa il 14% e nel 1982, l’anno dei Mondiali in Spagna, addirittura il 20% (l'inflazione era più bassa, al 16%). Ma gli scenari economici erano completamente diversi. C’è poi ovviamente anche la scelta di investire, per il lungo periodo, in immobili oppure in un portafoglio azionario, magari consigliati da un esperto che non applichi troppi ricarichi di costi di gestione. Quel che è certo è che detenere liquidità “in eccesso”, non insomma quella da avere sempre disponibile per far fronte a un’emergenza improvvisa, semplicemente non conviene.

Dal rapporto Consob emerge anche che nel 2022 è cresciuta la percentuale di famiglie “fragili”, ossia in difficoltà nel far fronte a spese fisse e ricorrenti, portandosi al 37% dal 33% del 2021. La percentuale di investitori che riferisce di aver registrato un calo temporaneo o permanente delle proprie entrate si attesta al 23%, in aumento rispetto al 2021, quando si attestava al 17%. Rimane invece stabile al 23%, infine, la quota di individui che dichiara di non essere in grado di gestire una spesa imprevista di 1.000 euro (famiglie “esposte”).

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