lunedì 13 aprile 2020
Il 65% ha bloccato o rimandato oltre il 50% della propria operatività, solo una organizzazione su dieci dichiara di non aver dovuto rallentare o interrompere gli interventi
Medici senza frontiere impegnati a Codogno

Medici senza frontiere impegnati a Codogno - Archivio

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La quasi totalità delle Ong (Organizzazioni non governative) attive nella cooperazione e solidarietà internazionale ha dovuto sospendere e/o ridurre le proprie attività in Italia e all’estero a causa della pandemia di Covid-19. Il 65% delle Ong ha bloccato o rimandato oltre il 50% della propria operatività, solo una organizzazione su dieci dichiara di non aver dovuto rallentare o interrompere gli interventi. Sono questi i dati che delineano la situazione delle Ong italiane a un mese dalle forti misure restrittive imposte dapprima in Italia e ormai in diversi Paesi d’Europa e del resto del mondo. Un’emergenza che ha costretto le organizzazioni a cambiare priorità e reimpostare il proprio lavoro in tempi rapidissimi, ma che mette in allarme l’intero settore soprattutto davanti alla crisi economica che si prospetta per il futuro. Oltre 150 delle più importanti Ong italiane hanno risposto alle domande di un’indagine proposta da Open Cooperazione in collaborazione con le reti Aoi, Cini e Link2007, con l’obiettivo di comporre il quadro della situazione del settore in termini di problematiche e risposte all’emergenza Covid-19.

Partiamo proprio dalla risposta all’emergenza che ha visto molte organizzazioni scendere in campo anche in Italia, con in prima linea quelle del settore sanitario che si sono attivate in particolare in Lombardia tra Codogno, Cremona e Bergamo. Il 55% delle Ong dichiara infatti di aver attivato specifiche attività legate a Covid-19 all’estero, mentre il 40% le ha avviate in Italia. Nei Paesi partner il 75% delle organizzazioni sta mettendo in campo attività di informazione/prevenzione su Covid-19, il 38% supporta strutture sanitarie, il 17% effettua distribuzione alimentare, il 10% realizza attività di educazione e formazione e infine il 5% cura direttamente i pazienti contagiati. Dodici organizzazioni si sono attivate in Mozambico, otto in Kenya, sette in Tanzania, cinque in Burkina Faso e Cambogia, quattro in India, Uganda, Brasile, Haiti, Palestina, Libia e Tunisia, tre in Nepal, Guinea Bissau, Senegal, Burundi, Mali, Niger, Repubblica democratica del Congo, Siria e Madagascar. La maggior parte dei cooperanti delle Ong italiane, infatti, sono rimasti nei Paesi partner anche se in questi giorni diversi colleghi stanno approfittando di alcuni voli speciali per il rimpatrio da Paesi dove la situazione sanitaria si sta complicando e da cui sono stati bloccati i voli commerciali da e per l’Europa. Dai dati si evince che oltre la metà delle organizzazioni non ha proceduto al rimpatrio di alcun cooperante, nel 30% dei casi sono stati rimpatriati solo alcuni cooperanti, 16 organizzazioni hanno provveduto al rimpatrio di tutti i propri cooperanti espatriati.

Veniamo all’Italia, dove l’attività più comune messa in campo in Italia è la didattica e/o formazione online, il 48% delle Ong sta offrendo in queste settimane percorsi didattici interattivi, corsi e webinar gratuiti su diversi temi e per pubblici diversificati. Il 33% ha invece attivato il proprio volontariato territoriale a sostegno delle fasce più vulnerabili della popolazione per la consegna di pasti, la distribuzione di alimenti e beni di prima necessita, e l’assistenza a persone contagiate e ai loro familiari in quarantena. Per supportare queste e altre attività straordinarie il 37% delle organizzazioni ha lanciato una raccolta fondi specifica legata al Coronavirus. Non è un caso che il 58% di queste azioni di fundraising vadano a finanziare ospedali italiani e protezione civile, il 40% invece servirà a supportare attività proprie in Italia e il 30% attività proprie all’estero.

L’ultima parte dell’indagine è dedicata alle criticità e alla percezione delle organizzazioni rispetto alla sostenibilità economica davanti alla crisi che si prospetta all’orizzonte. Il 40 % delle Ong rispondenti dichiara che in questo primo mese di emergenza Covid-19 le proprie entrate da raccolta fondi si sono ridotte almeno del 50%. Quasi la stessa percentuale (il 37%) usufruirà della cassa integrazione straordinaria messa a disposizione dal decreto Cura Italia. Mentre 35 organizzazioni la attiveranno per meno di dieci dipendenti, noved organizzazioni tra dieci e 20 dipendenti e solo quattro organizzazioni la metteranno in campo per più di 20 dipendenti. Molte organizzazioni dichiarano di stare valutando l’opportunità della cassa integrazione e il 38% nel frattempo ha chiesto ai dipendenti di usufruire di ferie/permessi/congedi parentali in questo periodo. Il 35% delle Ong ha anche dovuto rallentare e/o interrompere le attività di progettazione in corso soprattutto a causa delle scadenze troppo ravvicinate e l’impossibilità di fare missioni e trasferte all’estero. Infine c’è chi guarda già alle misure da mettere in atto per superare la situazione di crisi; oltre la cassa integrazione le organizzazioni pensano di richiedere anticipazioni bancarie su contributi già stanziati (18%), apertura di nuove linee di credito (14%) e licenziamenti/interruzione di collaborazioni (14%) non appena scadrà il blocco di due mesi prescritto dal decreto Cura Italia.

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