martedì 15 dicembre 2020
L'anniversario dell'Accordo per il reclutamento e il collocamento di manodopera tra i due Paesi viene ricordato oggi in un convegno organizzato dall'ambasciata tedesca a Roma
L'Europa del lavoro fra Italia e Germania: 65 anni fa il primo Accordo
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Sessantacinque anni fa veniva firmato il primo "Accordo per il reclutamento e il collocamento di manodopera" tra Germania e Italia. «Una pietra miliare», la definisce il ministro del Lavoro tedesco Hubertus Heil, «perché i cosiddetti "lavoratori ospiti" hanno fatto molto bene al nostro Paese. Hanno dato un forte impulso alla nostra economia. La loro diligenza è stata più importante dell’apporto di qualsiasi macchinario. Il nostro benessere odierno è anche merito loro. Di questo sono molto grato».

Per celebrare questo anniversario e a conclusione del semestre di presidenza della Ue della Germania, l’ambasciata tedesca ha organizzato per questa mattina un convegno sul tema: "Rafforzare l’Europa sociale. La migrazione per lavoro, uno sguardo alla Germania e all’Italia".

Tra le 11 e le 12 si confronteranno la ministra Nunzia Catalfo e, appunto, il ministro tedesco Hubertus Heil, il segretario generale della Cgil Maurizio Landini e la sociologa dell’Università di Potsdam Edith Pichler, moderati dall’ambasciatore Viktor Elbling. A conclusione, un intervento del direttore Avvenire, Marco Tarquinio. Sarà possibile seguire l’incontro, di cui Avvenire è mediapartner, sulla pagina Facebook dell’Ambasciata di Germania (AmbasciataGermaniaRoma) e su Avvenire.it.

«Una consapevolezza fondamentale è che chi vuole un’Europa economicamente forte deve garantire un’Europa sociale – spiega ancora il ministro Heil –. È la combinazione di crescita e sicurezza sociale che ci aiuta a superare le crisi e promuove l’innovazione, il progresso e la creatività. Ecco perché dobbiamo adoperarci per una migliore protezione contro la povertà e l’esclusione sociale, nonché per buone condizioni di lavoro. Per me questo include soprattutto la garanzia di un salario dignitoso. Abbiamo bisogno anche di reti di sicurezza sociale che consentano la partecipazione anche a chi non può lavorare».

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