sabato 18 febbraio 2023
Pubblica amministrazione, trasporti e manufatturiero sono i settori dove i dipendenti sono maggiormente esposti al burnout. Le buone pratiche per prevenirlo e curarlo
I più esposti sono i dipendenti pubblici

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Pubblica amministrazione, trasporti e manufatturiero sono i settori dove i dipendenti sono maggiormente esposti al rischio burnout. È questa la principale indicazione che emerge da una ricerca globale realizzata da Workday Addressing Burnout Risk in 2022 – che tramite la soluzione tecnologica di coinvolgimento dei dipendenti Workday Peakon Employee Voice ha analizzato dieci settori industriali grazie al contributo di 1,5 milioni di lavoratori in rappresentanza di oltre 600 aziende in tutto il mondo. La ricerca ha analizzato come si è evoluto il rischio di burnout dal 2021 in diversi settori e aree geografiche valutando le risposte dei dipendenti relativamente al fatto di essere sempre connessi, ai livelli di energia e a quelli di soddisfazione; successivamente le risposte sono state classificate come rischio alto, medio o basso. Lo studio ha rilevato che la maggior parte delle industrie analizzate ha registrato livelli maggiori di rischio di burnout nel 2022, rispetto al 2021. I settori produttivi che hanno operato in prima linea nella pandemia hanno registrato gli aumenti più elevati: in particolare sei dipendenti su dieci della pubblica amministrazione sono a rischio burnout con un aumento del 16% dal 2021, mentre il settore dei trasporti è in seconda posizione con un aumento del 10% arrivando al 54% complessivo. In terza posizione, ma in discesa di 11 punti percentuali rispetto allo scorso anno, c’è il settore manufatturiero (50%) mentre seguono il settore energetico (48%) e quello dei beni di consumo (43%) che sono rimasti invariati anno su anno. L’industria a meno rischio burnout si riconferma l’Information Technology visto che anche lo scorso anno era ultima in questa classifica (sempre ferma al 13%). Come è possibile vedere da questo studio, il problema del burnout dei dipendenti è sempre più diffuso, tuttavia ci sono azioni chiave che i datori di lavoro possono intraprendere per ridurre il rischio tra cui: coltivare una cultura più comprensiva delle necessità dei lavoratori, favorire la risoluzione dei problemi incoraggiando un dialogo aperto e fornire ai dipendenti un obiettivo condiviso articolando la strategia organizzativa e il modo in cui le idee possano portare ad una nuova visione complessiva a favore del benessere dei lavoratori. Il rapporto ha rilevato una variazione globale tra le dieci aree geografiche monitorate anno su anno, con sei nazioni che hanno visto aumentare il rischio burnout mentre altre quattro che hanno mostrato miglioramenti. A livello internazionale i dipendenti in Regno Unito sono i più esposti al rischio burnout con il 41%, in crescita del 4% rispetto allo scorso anno. In seconda posizione ci sono i dipendenti francesi (39%) che, però, hanno registrato una diminuzione del rischio di burnout con una riduzione del 7% rispetto allo scorso anno. In Europa il rischio di burnout rimane alto anche in altre nazioni: l’Olanda è in terza posizione con il 33% anche se in calo del 5%; la Norvegia ha visto un aumento del 9% anno su anno arrivando 20%; cresce anche la Danimarca seppur del 3% e continuando ad essere il fanalino di coda di questa classifica (11%). Da segnalare il forte calo dei dipendenti tedeschi che hanno visto abbassare il rischio burnout del 15%.

Gli orari flessibili possono aiutare a prevenire

Nuovo anno e tempo di bilanci per le imprese, non solo in termini di fatturato, ma anche in merito alla condizione psicologica dei propri dipendenti. Per questo Reverse (https://reverse.hr/it/), società internazionale di headhunting e Hr, ha condotto un’analisi che individua i livelli attuali di stress psicologico sul posto di lavoro. I risultati sono più incoraggianti del previsto e sottolineano un leggero miglioramento, complici gli orari flessibili, lo sportello psicologico gratuito e altre misure che le aziende iniziano a mettere in campo per tutelare il benessere delle proprie risorse. Se è vero che l'edizione del 2022 dello Stada Health Report ha evidenziato come quest’anno rispetto al 2021 i livelli di burnout siano passati dal 49% al 59%, a causa delle numerose difficoltà socio-economiche che il Paese sta incontrando, la ricerca di Reverse mostra piccoli segnali che fanno ben sperare per il futuro: il campione di lavoratori intervistati si divide infatti equamente - indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda - tra chi sta vivendo una condizione di pesante stress lavorativo e chi invece dichiara di no. Può non essere un dato incoraggiante di per sé, ma lo diventa se pensiamo che l’84% degli intervistati ha anche dichiarato di aver vissuto momenti di burnout in passato. La condizione psicologica dei dipendenti potrebbe essere quindi in lento miglioramento? La risposta sembrerebbe essere sì e l’alleato principale in questo progressivo cambiamento pare risiedere nella sempre più diffusa introduzione della flessibilità oraria. «Gli orari flessibili sono una diretta conseguenza dell’introduzione del lavoro per obiettivi che rappresenta a mio parere la vera e propria svolta per il futuro nel lavoro - spiega Alessandro Raguseo, ceo e cofondatore di Reverse -. Intendiamoci, nel nostro Paese c’è ancora molto lavoro da fare per arrivare a una condizione economica e psicologica ideale per i dipendenti, ma dal nostro studio emerge che qualche piccolo passo in avanti si sta compiendo, facendoci quindi ben sperare per il futuro». Infatti, tra gli intervistati, la percentuale di lavoratori che, pur beneficiando di orari flessibili dichiara di subire lo stress lavorativo, è minore (40%) rispetto a quella di coloro che non possono usufruirne (50%). L’orario flessibile è anche la soluzione più suggerita dagli intervistati (51%) per contrastare in modo efficace in azienda una condizione di stress lavorativo constatato. Meno impattante del previsto, invece, lo il lavoro da remoto, equamente diviso tra chi si dichiara stressato e chi no. Anche se il 74% dei lavoratori interpellati dichiara che la propria azienda non propone iniziative di supporto psicologico ai collaboratori, le realtà iniziano a muoversi in questa direzione. Lo sportello psicologico gratuito è la soluzione più gettonata: lo citano infatti il 54% degli intervistati, seguito da incontri formativi (27%) e dal Bonus Psicologo (13%). La sostanziale parità tra chi si ritiene stressato e chi no si sbilancia leggermente soltanto sopra i 50 anni. Complici senza dubbio la maggiore esperienza ma anche la minor tensione subita una volta che la propria carriera è avviata. Il 28% degli under 40 dichiara invece di aver vissuto episodi di crisi di panico dovuti allo stress lavorativo, contro il 19% degli over 50.

Tra buone pratiche e scarsità di fondi

Quindi non mancano le buone pratiche per prevenire i disagi psicologici dei lavoratori. Per esempio Disclosers, agenzia di Pr e Media Relations con base a Milano, ha deciso di finanziare totalmente un percorso di supporto psicologico e benessere mentale per i propri dipendenti. «Siamo molto attenti a tutto ciò che riguarda concretamente il benessere delle persone con cui lavoriamo - affermano Jessica Malfatto e Stefano Tagliabue, 33 anni, co-fondatori di Disclosers (https://disclosers.it/) -. Il tema della salute mentale è centrale e crediamo che come impresa sia essenziale cercare di fare la propria parte in questo contesto, mettendo in campo tutti gli strumenti possibili per prendersi cura delle persone con cui si lavora ogni giorno. Attraverso Serenis (piattaforma di psicoterapia e supporto psicologico online), quindi, abbiamo deciso di mettere a disposizione (gratuitamente, perché il costo di ogni seduta è completamente a carico dell’azienda) un supporto psicologico, con psicoterapeuti professionisti, per ogni persona del team. Non solo: per quanto riguarda il benessere fisico, abbiamo attivato per ogni membro della squadra anche un abbonamento annuale a Buddyfit (una piattaforma che eroga corsi di fitness, yoga e meditazione). Se stai bene al lavoro, se riesci a trovare una piccola fetta di felicità anche nel contesto lavorativo, allora poi distribuisci questo benessere anche nell’ecosistema in cui vivi la tua vita privata. Il lavoro non è mai solo lavoro». Secondo il report World Mental Health dell'Oms-Organizzazione mondiale della sanità, con un focus sul benessere mentale globale, nel 2019 quasi un miliardo di persone presentava un disturbo mentale. E i numeri, con la pandemia, non hanno certamente visto un miglioramento. «Quando si parla di salute mentale non si può scherzare e non si può sottovalutare l’argomento: si tratta di un tema delicato, che merita la massima attenzione e una cura puntuale. Per questo, per abbracciare questa sfera con l’approccio corretto, ci siamo affidati a una piattaforma che coinvolge solo psicoterapeuti professionisti e che rappresenta un vero e proprio centro medico - continuano Jessica e Stefano - La motivazione principale che ci ha spinto a prendere questa decisione? La volontà di creare un piccolo impatto reale, positivo, sulle persone con cui condividiamo questo viaggio come piccola impresa. Inoltre, entrambi abbiamo vissuto personalmente percorsi di supporto psicologico e abbiamo potuto letteralmente provare sulla nostra pelle quanto sono importanti e quanto valore generano, per questo motivo vogliamo mettere a disposizione questo strumento anche per ogni persona con cui lavoriamo». Negli ultimi qiuattro anni sono stati organizzati corsi di formazione linguistica, trimestralmente viene organizzata una giornata di formazione tecnica, è stato sviluppato un percorso con un consulente organizzativo (per sessioni di feedback, organizzazione interna eccetera) e ogni persona ha a disposizione - grazie a una convenzione che l'azienda attiva per ogni membro della squadra - la possibilità di seguire dei corsi riguardanti diverse aree. «Ogni anno, inoltre, organizziamo una vacanza di team (dal 2020 a oggi, ad esempio, siamo stati nelle Langhe, a Lazise, in crociera nel Mediterraneo e a Barcellona», prosegue Malfatto. Inoltre, c'è la possibilità per ogni persona di scegliere un progetto pro bono (associazioni senza scopo di lucro, enti benefici eccetera) da seguire durante le ore lavorative. «Al di là delle vacanze di team o dei gesti che sembrano maggiormente d’impatto, quello che fa realmente la differenza è ciò che viene messo in campo quotidianamente. Dal continuare a impegnarsi per rimanere indipendenti, per poter portare avanti scelte anche antieconomiche, all’attenzione reale per la singola persona, dalla possibilità di lavorare dove si vuole, sapendo però di avere l’ufficio sempre a disposizione, alla libertà di poter seguire un progetto pro bono durante le ore di lavoro. Parlando di numeri e di concretezza, siamo un team che cresce (da 2 a 18 persone in 48 mesi), dove oltre l'80% degli stage si è trasformato in assunzione, dove quasi il 70% dei contratti è a tempo indeterminato, dove la componente femminile è centrale (l’87% della squadra è composta da donne), dove è attivo lo smart working (ma con un ufficio sempre a disposizione)», raccontano Jessica e Stefano. Tuttavia la scarsità dei fondi messi a disposizione, le tempistiche di distribuzione e la poca chiarezza delle informazioni fornite dall’Inps hanno danneggiato il potenziale del bonus psicologo, il sussidio introdotto alla fine del 2021 e riconfermato nella nuova legge di Bilancio 2023: è quanto emerge dall’Osservatorio Oltre il bonus psicologo della piattaforma di psicoterapia online e centro medico autorizzato dall’Ats Serenis (www.serenis.it) su un campionario di 262 persone, appartenenti alla comunità scientifica e non, in interazione con lo strumento. Del totale degli intervistati, oltre otto persone su dieci hanno affrontato in passato un percorso di psicoterapia o supporto psicologico. Il 74,8% del campionario lavora nel settore del benessere mentale, principalmente nel ruolo di psicoterapeuta (95,4%) e di psicologo (1,5%). Al quesito Hai chiesto il bonus psicologo?, l’84,7% dei risponditori si è espresso in maniera negativa per mancanza di requisiti, divergenza di visione o difficoltà di comprensione procedurale. Solo il 15% tra chi, invece, ha fatto domanda (15,3%), l’ha ottenuto. In generale dalla società è stato apprezzato il cambio di direzione e l’importanza attribuita per la prima volta al tema della salute mentale a livello istituzionale. Il tutto sempre nella convinzione che si tratti solo di un primo passo in questa direzione, e a confermarlo sono i dati: solo il 4,2% degli intervistati, infatti, si dice pienamente soddisfatto dell’iniziativa. Ma come può migliorare questa manovra spartiacque? Dopo aver vagliato le riflessioni raccolte con la survey Oltre il bonus psicologo, Serenis ha evidenziato sette elementi ottimizzabili:

1. Scarsità dei fondi: i 25 milioni di euro stanziati dal governo per il 2022 che hanno generato 395mila richieste e un totale di soli 41mila beneficiari, con la conseguenza che solo una persona su nove ha potuto usufruire del bonus.
2. Selezione dei richiedenti: il problema sta nel far passare il benessere mentale come qualcosa dove "chi prima arriva meglio alloggia", logica alla base della selezione dei richiedenti il bonus, tanto che, in maniera ironica, c’è chi ha commentato “TicketOne scansate”. In realtà, sostiene Serenis a seguito dei risultati della survey, il benessere mentale non dovrebbe essere considerato un premio, qualcosa a cui si accede per fortuna, ma un servizio disponibile per tutti, democratico e il cui unico criterio di selezione dovrebbe essere: chi ne ha bisogno.
3. Comunicazione inefficace: dal “come funziona” al “a chi spetta”, le informazioni fornite dal sito Inps, istituzione al quale le persone avrebbero dovuto inoltrare le richieste del bonus in via telematica, non sono risultate chiare e di facile lettura secondo il 47,2% degli intervistati. Questo ha solo reso le procedure, di per sé farraginose, ancora più complesse, specie per quella fetta di popolazione meno avvezza alle nuove tecnologie.
4. Mancanza di feedback: chi è stato escluso dalle graduatorie non ha trovato alcuna giustificazione alla propria estromissione all’interno della mail di esito, se non una serie di frasi preimpostate e poco coinvolte, lasciando aperti molti interrogativi come: “Avrò compilato bene la domanda?” oppure “Quali parametri non rispecchiavo?”.
5. Tempistiche lunghe: dalla ricezione della richiesta alla sua accettazione, la burocrazia impone scartoffie infinite tra cui districarsi, che hanno allungato le procedure e complicato ulteriormente le difficoltà, estendendo il tempo di attesa tra la presentazione della domanda e (l'eventuale) ottenimento del bonus. Troppo tempo per chi necessita di supporto psicologico in un certo momento e si trova costretto a dover attendere i tempi della burocrazia.
6. Mancanza di consapevolezza: bonus psicologo perché può essere somministrato da uno psicologo? In realtà, no. Al bonus psicologo, per legge, possono aderire solo gli psicoterapeuti. C’è una mancanza di consapevolezza generale - che deriva da un vuoto culturale - che porta erroneamente a sovrapporre le due figure e lo testimonia il nome stesso dell’iniziativa.
7. Prospettive future: le risorse stanziate potrebbero ammontare a cinque milioni di euro per il 2023 e a otto milioni di euro a decorrere dal 2024, con tetto Isee a 50mila euro. Una novità deludente perché porterebbe con sé ancora più esclusi e non contribuirebbe a rendere questa risorsa democratica e accessibile ai più, come auspicato invece da tutti coloro che lottano perché la salute mentale venga considerata alla stregua di ogni altra questione di sanità.

«Sin dal principio abbiamo visto il buono di questa iniziativa ma notato le sue mancanze e imperfezioni, non ultimo l’essere considerata un bonus, qualcosa di cui volendo si può fare a meno. La speranza è che questa manovra possa essere uno spartiacque per rendere, un giorno, il benessere mentale un’offerta pubblica gratuita e non un diritto alla salute di serie B, retaggio esclusivo dei pochi che se lo possono permettere e di chi ha vinto la possibilità di ricevere un bonus per un tempo prestabilito - conclude Daniele Francescon, cofondatore di Serenis -. Siamo felici di dare il nostro contributo, raccogliendo i feedback delle persone, perché iniziative di questo tipo siano sempre più efficaci nel rendere accessibile il benessere mentale: ecco perché lavoriamo basando ogni decisione e iniziativa sui dati oggettivi, sul fondamento scientifico che è anche ciò che contraddistingue Serenis e di cui andiamo orgogliosi».

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