giovedì 4 giugno 2020
Al via l’app che traccia i contatti. In due giorni l’hanno scaricata un milione di italiani. I difetti del sistema bluetooth e, soprattutto, quanto serve in parallelo un monitoraggio "fisico"
La App Immuni

La App Immuni - Fotogramma

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Polemica sulle immagini della app Immuni. La vignetta con un uomo al lavoro al pc e una donna che culla un bambino non sono piaciute a molti osservatori e a vari politici dal Pd a Forza Italia, perché ritenute stereotipate e sessiste. Per questo sul sito istituzionale sono state poi cambiate: ora il neonato non è più in braccio alla mamma ma al papà, ed è la donna e non l’uomo che sta davanti al pc.

L'immagine contestata (e poi cambiata) nel sito della App Immuni

L'immagine contestata (e poi cambiata) nel sito della App Immuni - Ansa

Dopo quasi due mesi di rinvii, polemiche e problemi tecnici, Immuni, l’app italiana di tracciamento dei contatti per monitorare la diffusione del Covid-19, inizierà la sperimentazione dalla settimana prossima. Dopo i primi test in quattro regioni – Puglia, Abruzzo, Marche e Liguria – potrà essere usata in tutt’Italia. In due giorni i download eseguiti hanno raggiunto quota un milione, perché il sistema funzioni serve un’adesione ampia, come ha confermato il ministro dell’Innovazione, Paola Pisano. Il debutto arriva un po’ in ritardo rispetto alle intenzioni iniziali e alle reali necessità di tracciamento.

Lo stallo è in parte dovuto alla decisione di spo- stare l’applicazione da un modello centralizzato dove tutti i dati venivano salvati su un server, a uno decentralizzato dove le informazioni sono conservate all’interno dello smartphone e condivise solo quando necessario, e per il quale è stato necessario attendere il rilascio, a fine maggio, della piattaforma di Google e Apple sulla quale gireranno tutte le app nazionali di tracciamento europee.

Come funzionerà. L’app Immuni utilizza la connessione bluetooth a basso dispendio di energia: non chiede dati personali, ma solo la città di residenza. Gli smartphone sui quali è presente l’app quando si trovano a meno di due metri di distanza per almeno 15 minuti si scambiano in maniera anonima dei codici generati automaticamente che restano conservati sui dispositivi. Il sistema non traccia gli spostamenti, ma solo i contatti tra smartphone. Quando una persona risulta positiva, l’Asl o un addetto sanitario – dopo aver ottenuto l’autorizzazione del paziente – inserisce sulla piattaforma un codice che lancia un’allerta su tutti i telefoni entrati in contatto con quello del contagiato. Tutti i dati raccolti e condivisi con il server centrale sono gestito da Sogei, la società informatica del ministero dell’Economia e saranno cancellati entro il 31 dicembre 2020.

La questione privacy

Ci sono diversi dubbi sulla sicurezza dell’app. Persino il Copasir ha espresso diverse perplessità: fra le principali preoccupazioni c’è la vulnerabilità dei sistemi bluetooth, potenzialmente a rischio di hackeraggio, con il rischio che falsi messaggi diffondano allarmi ingiustificati nella popolazione. Altro aspetto importante, secondo il Copasir, è il rilascio degli aggiornamenti che dovrebbe essere effettuato da Bending Spoons, la società che ha ideato l’app: la potenziale dipendenza dell’app da una società privata è un problema.

I dubbi sull’efficacia

Il problema principale di Immuni è che senza il bluetooth attivo è completamente inutile. Chi usa l’app deve tenere la connessione bluetooth sempre accesa, altrimenti il sistema non funziona. Inoltre il bluetooth non è una tecnologia di precisione e il segnale può subire interferenze o essere indebolito da diversi fattori. Per esempio tenere il telefono nella borsa potrebbe non assicurare un efficace scambio di informazioni tra dispositivi vicini. Inoltre l’app potrebbe inviare alert 'falsi positivi', per esempio in situazioni in cui il segnale è schermato da una superficie divisoria, o interferire con altri segnali presenti nello stesso ambiente, come sui treni, sui bus o nei centri commerciali. Una situazione che avrebbe conseguenze sociali, ma anche psicologiche, non indifferenti. Situazione analoga potrebbe verificarsi con i 'falsi negativi', quando qualcuno entra accidentalmente in contatto con una persona infetta ma questa informazione non viene processata dal sistema.

Il tracciamento analogico

Insomma, affidare a un’app, a una connettività instabile e a un algoritmo la delicata fase di tracciamento potrebbe non essere la soluzione migliore. O perlomeno sarebbe necessario, in parallelo, anche un sistema di tracciamento 'analogico' a tappeto sul territorio. Solo per fare qualche esempio la Cina aveva messo in campo circa 9mila persone solo a Wuhan (erano più di 730mila in tutto il Paese) per tracciare i possibili infetti e la rete di persone con cui erano venute in contatto. La Francia ha schierato 30mila 'tracciatori' e gli Stati Uniti 11mila, con l’obiettivo di arrivare a presto a 300mila. In Italia, invece, questo sistema non è mai partito. L’unico passo concreto in questa direzione era stato il decreto del ministero della Salute dello scorso 30 aprile che ipotizzava la necessità di una persona ogni 10mila abitanti. Ipotesi che però finora non si è avverata.

L'utilizzo

1. Il segnale
Una volta installata da un utente, l’app fa sì che il suo smartphone emetta continuativamente un segnale Bluetooth. Il segnale include un identificativo di prossimità. Lo stesso vale per l’utente gli altri utenti che scaricheranno l’app. Quando entrano in contatto tra di loro, ogni smartphone registra nella propria memoria l’identificativo di prossimità dell’altro, tenendo quindi traccia di quel contatto.

2. La verifica
Se uno degli utenti è risultato positivo a Covid–19, con l’aiuto di un operatore sanitario potrà caricare su un server delle chiavi crittografiche dalle quali si può derivare il suo identificativo di prossimità. Per ogni utente, l’app scarica periodicamente dal server le nuove chiavi crittografiche caricate dagli utenti che sono risultati positivi al virus, deriva i loro identificativi di prossimità e controlla se qualcuno di quegli identificativi corrisponde a quelli registrati nella memoria dello smartphone nei giorni precedenti. Se in queste chiavi scaricate dovesse risultare quella di un utente con cui si è entrati in contatto, l’app verificherà se la durata e la distanza del contatto siano state tali da causare il contagio.

3. I dati
L’app non traccia gli spostamenti e non usa il Gps. I dati dell’utente non lasciano mai il suo smartphone, se non nel caso in cui si dovesse risultare positivi al Covid–19 a seguito di un esame. E comunque la decisione finale se scaricare o meno i propri dati sul server centrale è data all’utente stesso, che quindi potrà rifiutarsi di farlo. I dati comunque sono controllati dal ministero della Salute e cancellati entro il 31 dicembre 2020.

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