giovedì 23 aprile 2020
Le imprese inondano Prefettura e Palazzo Chigi di email annunciando la riapetura in deroga, ma al momento è solo una provocazione
Il distretto tessile di Prato chiede di riaprire

Il distretto tessile di Prato chiede di riaprire - Ansa

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Il distretto tessile di Prato vuole riaprire e tenta di forzare la mano con una protesta digitale. Nessuna manifestazione di piazza ma una serie di mail certificate, indirizzate a palazzo Chigi e alla Prefettura della città, inviate nei giorni scorsi. Una provocazione quella di oltre 250 realtà tessili che gli stessi imprenditori hanno definito «un’azione di disobbedienza civile» per chiedere «l’immediata riapertura del distretto ». Sono centinaia le Pec arrivate, tutte annunciavano l’intenzione di riaprire immediatamente la fabbrica appellandosi alla facoltà, prevista solo per alcuni settori ma non per il tessile, di riaprire dietro presentazione di un’autocertificazione. «La nostra produzione è stagionale e quindi è deperibile proprio come la ricotta. Le nostre aziende devono riaprire subito, non possiamo aspettare maggio. E lo stesso vale per i negozi. Ci stiamo avviando verso un disastro economico» spiegano gli imprenditori. «Vogliamo spiegazioni sul perché in Veneto Zaia dice che il periodo di lockdown è finito e invece qui da noi si vuole aspettare maggio – proseguono – Anche la richiesta del presidente Rossi di riaprire solo le aziende che hanno il 25% di fatturato legato all’export non è ricevibile. A Prato c’è una filiera orizzontale, non possono riaprire solo le grandi aziende ma c’è bisogno del contributo di tutti». Altrimenti si rischia un disastro economico anche per quanto riguarda l’occupazione: nel distretto ci sono quasi 35mila lavoratori. A sedare la protesta il prefetto Lucia Volpe da poco arrivato in città. «Se davvero riapriranno, si assumeranno le proprie responsabilità » ha detto dopo una riunione con Confindustria Toscana nord. «Comprendo la difficoltà del momento – ha continuato il prefetto – ma il nostro compito è far rispettare le regole a tutela della salute dei lavoratori e di tutta la cittadinanza». Martedì mattina Roberto Rosati a nome dei colleghi ha spiegato che «al momento si è deciso di non forzare la mano, ma se non arriveranno risposte adeguate in tempi brevi, si passerà dalle parole ai fatti». Protesta rientrata insomma in attesa di notizie ufficiali da Roma. La preoccupazione principale è che con la chiusura del tessile di Prato le case di moda e le grandi aziende del settore come Zara si rivolgano ad altre realtà dove le limitazioni per il coronavirus e il costo del lavoro sono più “leggeri”. Preoccupati ma contrari a fughe in avanti senza adeguate garanzie di sicurezza i sindacati che chiedono di rispettare le indicazioni nazionali.

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