lunedì 6 gennaio 2020
Ghana e Costa d'Avorio, che producono il 60% del cacao mondiale, introducono una addizionale da 400 dollari a tonnellata. L'obiettivo: permettere ai contadini di emanciparsi dalla povertà
Una donna al lavoro in una piantagione di caffè in Ghana

Una donna al lavoro in una piantagione di caffè in Ghana - Nestlé via Flickr https://flic.kr/p/CYaQTT

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Nell’industria del cioccolato l’hanno soprannominato con un po’ di ironia Copec: come Opec, il famoso cartello degli esportatori di petrolio, ma con davanti una C che sta per “cacao”. Lo scorso luglio i governi di Ghana e Costa d’Avorio, che insieme producono circa 3 milioni di tonnellate di fave di cacao, più del 60% della produzione mondiale, hanno annunciato un accordo per garantire agli agricoltori un incasso minimo.

Dal prossimo ottobre, quando inizieranno le vendite per la stagione 2020-2021, ad ogni contratto per la vendita di cacao prodotto in Ghana o Costa d’Avorio si aggiungerà una sorta di “tassa” di 400 dollari a tonnellata. Questa tassa – chiamata Lid, che sta per Living Income Differential, cioè “differenziale per il minimo di sussistenza” – servirà ad assicurare che gli agricoltori guadagnino 1.820 dollari a tonnellata, cioè almeno il 70% di un prezzo “tutto compreso” di 2.600 dollari a tonnellata.

Si tratta di un aumento di circa il 16% rispetto ai circa 2.500 dollari della quotazione al cacao sul mercato di New York, prezzo di riferimento per l’industria mondiale. Se i prezzi saliranno sopra i 2.900 dollari a tonnellata, gli incassi in sovrappiù saranno accantonati in un fondo di stabilizzazione. La tassa inizia ad essere applicata sui contratti futures sulla raccolta 2020-2021 che i produttori di dolciumi e gli esportatori africani stanno firmando in queste settimane.

L’alleanza tra i due governi africani è un tentativo di risolvere un vecchio problema: aiutare gli agricoltori ad avere una vita decente, senza essere in balìa di contratti volatili. Secondo una stima della Banca Mondiale circa 4 milioni di produttori di cacao, o l’80% del totale, vivono con meno di 3 dollari al giorno, cifra non lontana dagli 1,9 dollari al giorno che è la soglia di povertà. A questa condizioni di miseria si aggiunge il dramma del lavoro minorile: secondo le stime dell’International Cocoa Initiative, nelle piantagioni lavorano 2,2 milioni di bambini.

Nella lunga filiera del cioccolato, agli agricoltori va ancora una fetta molto piccola degli incassi: dei 107 miliardi di dollari di valore d’affari del settore, solo 6,6 arrivano ai produttori della materia prima. I grandi gruppi del cioccolato, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, hanno accettato le condizioni poste dai produttori. Molti di essi si stanno anche sforzando per rendere più sostenibile la filiera, che oltre ai problemi della povertà e del lavoro minorile ha anche un pesante impatto ambientale, soprattutto a causa del taglio delle foreste per costruire piantagioni. L’aumento dei prezzi del cacao si farà sentire probabilmente sui clienti finali.

Non è scontato che con il Lid i Paesi africani possano raggiungere i suoi scopi. Negli anni ‘70 una simile intesa aveva permesso la costituzione di un organismo internazionale che acquistava il cacao e creava delle riserve per evitare un eccesso di materia prima sul mercato, ma non era abbastanza robusto dal punto di vista finanziario ed è naufragato provocando un crollo dei prezzi.

Inoltre limitare una produzione agricola non è come contenere l’estrazione di petrolio: se in un caso basta fermare i pozzi, nell’altro non si possono tecnicamente “bloccare” le piantagioni in tempi rapidi. Comunque è un passo avanti importante, come ha riconosciuto Voice Network, una rete di Ong, sindacati e altre organizzazioni della filiera del cacao, chiarendo che l’efficacia di questa misura sarà però tutta da verificare.

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