Reuters
Da un lato il bitcoin che vola ancora verso un nuovo record storico, rompendo la barriera dei 100mila dollari con un nuovo rialzo del 5% a quota 102.905 dollari e un euforico Donald Trump che esulta: «Non c’è di che! Insieme faremo di nuovo grande l’America». Dall’altro gli scenari macroeconomici del 2025, con lo stesso Trump che resta il rebus numero uno: le politiche annunciate dal prossimo presidente Usa, che si insedierà il 20 gennaio, saranno infatti centrali per l’inflazione e la crescita statunitense, ma avranno riflessi a livello globale, considerato l’accento posto sui dazi e su una generale propensione al protezionismo. I mercati sono già proiettati sul nuovo anno, per ora con un dato abbastanza condiviso: nonostante un rallentamento della crescita americana e cinese, e una ripresa dell’eurozona e dei mercati emergenti, l’eccezionalismo americano, legato ai fattori di produttività, è destinato a durare anche nel 2025. Dopo i massimi di Wall Street toccati nel 2024, al di là delle guerre e con la prospettiva di nuovi tagli alle tasse delle società che Trump già prospetta, la crescita robusta degli utili delle aziende Usa non dovrebbe insomma essere in discussione, mantenendosi come principale “driver” del mercato.
Parallelamente, la marcia del bitcoin e delle criptovalute in generale porta in luce una nuova classe di asset, con tutte le sue criticità (iper-volatilità compresa) e i suoi aspetti controversi, rendendo popolare il concetto di “finanza decentralizzata”. Il valore del bitcoin è più che raddoppiato quest'anno ed è cresciuto di oltre il 50% nelle quattro settimane successive alla schiacciante vittoria elettorale di Trump, che ha visto anche l'elezione al Congresso di molti deputati pro-cripto. Gli Usa diventeranno «capitale mondiale del bitcoin e della criptovaluta», ha promesso Trump, intravedendo nuovi mondi finanziari oltre Pennsylvania Avenue. Da vedere quanto la corsa continuerà.
Negli Usa, prevedono intanto gli analisti, la crescita nel 2025 resterà solida, mentre per quanto riguarda l’Europa molto è anche legato all’evoluzione dello scenario in Germani e in Francia. Secondo Gianluca Ungari, head of Portfolio Management della banca svizzera Vontobel, lo scenario attuale resta quello del “soft landing”, l’atterraggio morbido di un’economia che è riuscita ad evitare la recessione grazie a stimoli fiscali e monetari. «L’importante sarà mantenere un equilibrio degli stessi stimoli e seguire quello che si può definire il “golden path”, un percorso dorato di crescita, evitando invece il “no landing”, con l’inflazione che torna a risalire e la sicura recessione». Le stime del Bloomberg consensus di novembre prevedono una crescita Usa al 2,1% nel 2025 rispetto al 2,7% del 2024, con l’eurozona in risalita dal +0,9% di quest’anno all’1,5% del 2025 e un +4,3% dei mercati emergenti rispetto al +4% del 2024.
Negli ultimi dodici mesi l’azionario Usa, fanno notare gli esperti, ha sovraperformato, con un +28,1% dell’indice S&P 500 rispetto al +10,1% dell’indice europeo Stoxx Europe 600, una differenza di 18 punti ritenuta “storica” ma legata soprattutto all’andamento dei “magnifici 7” di Wall Street: Apple, Microsoft, Alphabet, Amazon, Nvidia, Tesla e Meta. Secondo Ungari, però, «nel 2025 la crescita degli utili dei magnifici 7 e dei restanti 493 titoli dovrebbe convergere». Inoltre, «il percorso di taglio dei tassi è più chiaro per la Bce che per la Fed». Le politiche di Trump – che dovrà tenere conto anche di un debito Usa salito a 28mila miliardi di dollari Usa, con la previsione di arrivare al 143% del Pil entro il 2035 – incideranno molto sul nodo inflazione e non solo. «Su alcuni temi – fa notare il manager di Vontobel – Trump potrà fare da sé con ordini esecutivi (deregolamentazione, dazi, sanzioni), su altri (riduzione dell’immigrazione, tagli fiscali, efficientamento del governo) dovrà passare attraverso provvedimenti legislativi. Ognuno di questi punti, che verrà probabilmente toccato con tempi diversi, avrà il suo peso sullo scenario economico». I dazi già paventati sembrano soprattutto uno «strumento di negoziazione», ma «è interessante notare che la dipendenza dalle esportazioni degli Stati Uniti è la più bassa tra i Paesi industrializzati, appena il 10,9%, contro il 32,9% dell’Italia e il 42,8% della Germania: vuol dire poter contare su una forte economia domestica».
Anche per Deutsche Bank la parola chiave dello scenario 2025 resta «crescita»: tassi e inflazione in discesa concorrono a formare un ambiente positivo per i rendimenti e gli investimenti, mentre viene fatto notare che, al di là dei dazi, un’America forte resta fondamentale anche per gran parte delle aziende extra-Usa. «Per quanto riguarda l’Europa, attenzione alla differenza tra settore industriale e produzione industriale – fa notare Manuela Maccia, capo degli investimenti per l’Italia di Deutsche Bank –. Nonostante un’economia tedesca in stagnazione, l’indice Dax è ai massimi, perché le aziende tedesche dipendono molto di più dalla domanda globale: l’84% dei ricavi delle società del Dax è all’estero». Secondo Maccia, «se nel 2024 è stata la politica monetaria ad attirare l’attenzione dei mercati, nel 2025 ci si concentrerà sulla politica fiscale, con un focus sulle mosse di Trump. La Bce continuerà a tagliare i tassi fino al 2% a fine 2025, forse addirittura all’1,75%, mentre la Fed dovrebbe mantenersi su un livello più alto, tra il 3,75 e il 4%». La pressione del dollaro sull’euro resterà, con una previsione di un cambio a 1,02, al limite ma non ancora sotto la parità. Una cosa è certa: la situazione geopolitica globale mantiene ancora elevata l’incertezza: la gestione del rischio resta dunque fondamentale anche nel 2025. Al di là di ogni bitcoin.