domenica 20 giugno 2021
Indagine di Ubs tra gli amministratori delegati. Il lavoro da casa perde consensi, ma la previsione media per i prossimi 2-5 anni è quella di 2-3 giorni di lavoro agile a settimana
Il 40% dei manager europei non vuole lo smart working
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Quella iniziata ieri è l’estate in cui si deciderà molto del futuro dello smart working. Il lavoro da casa, o “agile” com’è stato definito dalla legislazione italiana, si stava facendo spazio nella realtà delle aziende in modo molto graduale prima dell’inizio della pandemia. L’emergenza sanitaria ha portato alla necessità di limitare il più possibile i contatti di persona tra i dipendenti e ha così aperto a un impiego massiccio del lavoro da casa. Ora che l’emergenza sta rientrando le imprese devono decidere che cosa fare.

In molti casi stanno emergendo tensioni tra manager che vorrebbero un ritorno alla normalità del 2019 e lavoratori che si sono abituati allo smart working. È successo dovunque: dalla Apple, dove i lavoratori hanno contestato la richiesta di ritorno sul posto di lavoro da lunedì a mercoledì arrivata direttamente da Tim Cook, fino alla Banca d’Italia, dove da settimane vanno avanti trattative sindacali non facili sul lavoro agile.

Secondo i manager europei, a pandemia finita la nuova normalità del lavoro potrebbe essere quella di 2-3 giorni di smart working a settimana. Questo, almeno, è quello che emerge dall’indagine che i ricercatori della banca svizzera Ubs hanno condotto a fine maggio raccogliendo le opinioni di 675 amministratori delegati e alti dirigenti di aziende in Germania, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito. Il risultato è una generale, anche se non enorme, erosione del sostegno dei manager al lavoro da casa: rispetto a un’analoga indagine che Ubs aveva condotta a dicembre scorso, la quota di dirigenti europei che dice di non avere intenzione di consentire lo smart working nei prossimi anni è salita dal 37% al 40%.

Ma è una media che racconta vicende diverse nelle singole realtà nazionali. I manager che a dicembre erano più aperti allo smart working ora sono più cauti: nel Regno Unito la percentuale di contrari è balzata dal 27 al 36%, in Spagna dal 32 al 47%. Al contrario, in Paesi come la Germania e l’Italia, dove i dirigenti partivano con molte cautele (a dicembre erano contrari al lavoro da casa il 44% dei manager tedeschi e il 47% di quelli italiani) l’applicazione forzata dello smart working sembra avere ridotto le perplessità: la quota di manager che non intende permettere il lavoro da casa a emergenza finita è scesa al 40% in Germania e al 41% in Italia.

In generale l’idea che lo smart working aumenti la produttività è poco popolare tra i dirigenti: si dice d’accordo con questa affermazione solo il 12% dei manager (il 10% in Italia). A chi gli chiede quanti giorni di lavoro da casa si aspettano che saranno consentita ai dipendenti nei prossimi 2-5 anni i dirigenti rispondono in media 1,9 giorni a settimana. Se però si escludono le risposte di chi prevede un azzeramento dello smart working, i giorni medi di lavoro da casa salgono a 3,1 a settimana. Un manager su cinque si dice aperto alla possibilità di assumere nei prossimi anni personale che lavori stabilmente in smart working. Pochi indicano l’esigenza di ridurre gli spazi di lavoro, ma uno su tre ha intenzione di chiedere al proprietario degli uffici un taglio dell’affitto.

Per le società che si occupano di immobiliare per gli uffici, che erano poi il vero oggetto centrale dell’indagine di Ubs, le prospettive non sono buone: «Per adesso i dirigenti sembrano a favore dello statu quo: intendono rinnovare gli affitti su spazi analoghi, ma con canoni più bassi. In pratica per le società immobiliari europee questo significa andare incontro all’inconsueta situazione in cui i tassi di uffici vacanti rimarranno bassi, ma i canoni potrebbero scendere ancora (di solito i due inndicatori scendono insieme)».

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