giovedì 8 febbraio 2018
L'esperto Gagliardi: spariranno macchinisti e infermieri, i giovani dovranno rischiare e tirare fuori le idee. Amazon sbaglia a trasformare l'uomo in macchina
I robot cambieranno il modo di lavorare
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«La tecnologia del futuro: minaccia o speranza?» è il titolo del convegno (aperto al pubblico) dedicato agli scenari futuri che la rivoluzione digitale avrà sul mondo del lavoro e su quello del commercio organizzato da Unicoop Firenze e da Dynamo Academy (Palazzo Niccolini, 9-10 febbraio) per analizzare quali saranno gli impatti della rivoluzione digitale sul mondo del lavoro, del commercio e della società. In scaletta interventi di docenti italiani ed stranieri, come Jay Mitra dell’Essex Business school e Vic Van Vuuren dell’Ilo Enterprises Department e di Fabrizio Gagliardi, uno dei "tanti cervelli in fuga" con una lunga esperienza al Cern e a Microsoft che ha scelto Barcellona per fare ricerca, e che si interrogherà sul tema «Il web è ancora uno strumento di innovazione sociale?».

Un controllo inaccettabile e disumano, una "robotizzazione" fatta in nome dell’efficienza e del risparmio. Far fare ad un essere umano quello che dovrebbe fare una macchina, solo perché al momento la seconda costerebbe più del primo e sarebbe meno veloce. Non usa giri di parole Fabrizio Gagliardi, un passato al Cern e in Microsoft, attualmente advisor del Barcelona supercomputing center, per definire l’idea - ancora tutta sulla carta ma al centro di violente polemiche la scorsa settimana - del braccialetto elettronico pensato da Amazon per guidare i dipendenti ad una realizzazione ancora più rapida dei pacchi da spedire. Gagliardi non ha dubbio: il futuro sarà dei robot che sostituiranno alcune tipologie di lavoratori in toto - due su tutte: i macchinisti e gli infermieri - e il mondo del lavoro subirà una rivoluzione radicale che la politica dovrà governare in qualche modo. Ci sarà meno lavoro - si scardinerà il concetto della giornata di otto ore - ma sarà più qualificato e richiederà un maggiore sforzo in termini di idee e di rischio imprenditoriale.

La vicenda di Amazon apre una riflessione profonda sul rapporto tra uomo e robot, lei cosa ne pensa?
Dal punto di vista tecnologico credo che l’unica strada da percorrere sia l’automatizzazione completa del processo di assemblaggio dei pacchi. Inaccettabile l’idea che si torni al concetto di catena di montaggio, all’uomo che diventa un ingranaggio. L’essere umano non deve essere robotizzato perché la macchina al momento mi costa di più o è meno efficiente. Amazon investa sulla ricerca e affidi ai robot questo tipo di lavoro.

«La tecnologia del futuro: minaccia o speranza?» è il tema del convegno che si terrà a Firenze (vedi box). Per i giovani italiani cosa rappresenta?
Entrambe le cose. Chi si trova oggi con una vita lavorativa avviata da un pezzo non subirà gravi scossoni mentre per i giovani saranno necessari percorsi scolastici più flessibili. Ci troviamo di fronte ad un momento epocale come l’avvento del luddismo, l’introduzione dei telai meccanici rivoluzionò il tessile e distrusse molti posti di lavoro. Adesso i robot sostituiranno l’uomo e avranno un impatto elevato sul mondo del lavoro. In parte sta già avvenendo, basti pensare all’automazione dei treni e delle metropolitane. In Italia il problema di fondo è la mancanza di fondi. Servono soldi per la ricerca che è sottofinanziata perché si spende meno dell’1% del Pil mentre in Giappone e in Israele si arriva al 6%. Ma soprattutto bisogna rivoluzionare il sistema scolastico e di finanziamento ai giovani. Senza fondi non si fa nulla.

La fuga di cervelli all’estero non si ferma, perché?
Purtroppo è un dato di fatto: una tendenza che bisognerebbe invertire anche perché in Italia la ricerca tocca vette di eccellenza. Il problema appunto è che da un lato si investe troppo poco, dall’altro la burocrazia impedisce di finanziare le buone idee, soprattutto quando si tratta di idee dei giovani. Nel Nord-Europa e negli Usa non ci sono queste rigidità, in Estonia si apre un’azienda con una spesa di 50 euro. Ci sono differenze culturali enormi. Da noi il livello di rischio imprenditoriale è molto basso, non c’è la cultura del fallimento. Se un giovane tenta di avviare una start-up e fallisce, difficilmente avrà una seconda opportunità dalle banche. Altrove invece si pensa il fallimento sia formativo. Senza considerare che in Italia l’ascensore sociale è fermo.

La rivoluzione digitale può accorciare le distanze, penso anche a quelle tra Nord e Sud sempre più marcate?Sino ad un certo punto sì: posso avere un’idea geniale e avviarla anche in una periferia, in Basilicata. Poi però avrò bisogno di relazionarmi con l’esterno, di creare una rete, di spostarmi e a quel punto l’ambiente avrà un peso non indifferente. A Milano ho più servizi e infrastrutture, è un dato di fatto.

Ma cosa succederà al mondo del lavoro, quali mestieri scompariranno?
Scompariranno le professioni a basso valore aggiunto, come quelle legate ai trasporti, ma anche quelle legate ai servizi. Da quelli bancari, oggi ci sono dei software che elaborano pacchetti di investimenti, all’assistenza: ci saranno infermieri-robot in grado di essere operativi 24 ore su 24 e di somministrare cure ad un numero elevato di pazienti. In Giappone c’è già un robot giornalista che è in grado di selezionare una quantità di informazioni e di redigere articoli.

Ma allora cosa faranno gli umani? Non si lavorerà più?
Le professioni del futuro saranno legate alla robotica, vale a dire all’ideazione e produzione dei robot, e quelle inerenti al mondo dell’informatica: dalla produzione di software all’analisi dei dati. Io credo che a conti fatti il saldo tra vecchia e nuova occupazione sarà negativo. Non a caso già Bill Gates pensava in maniera pessimistica di introdurre una tassa sui robot da destinare allo stato sociale. Il lavoro come lo abbiamo vissuto sino ad oggi, le classiche otto ore inchiodati in fabbrica o alla scrivania, non esisterà più. Sarà un lavoro al quale dedicare meno tempo e più energie mentali.

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