mercoledì 7 dicembre 2022
Nella manovra indicate 404mila famiglie, ma le stime Istat sono più alte
I conti che non tornano sul Reddito. I tagli colpiscono 850mila persone
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I 404 mila nuclei citati nella manovra o le 850mila persone indicate dall’Istat? O, ancora, le 660mila calcolate dall’Anpal? Sul reddito di cittadinanza i conti non tornano. Soprattutto quando si parla dei beneficiari su cui pende la tagliola degli ultimi 8 mesi di assegno. I cosiddetti “occupabili”, quelli per i quali la legge di bilancio prevede la decadenza del sussidio a partire da settembre. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ieri ha rilanciato le sue parole d’ordine: «Il lavoro ti può portare ovunque, mentre il reddito di cittadinanza ti lascia dove sei. E noi abbiamo scelto di credere nell’Italia e negli italiani», ha scritto su Twitter. L’obiettivo è spingere chi si è adagiato sul divano a uscire di casa e lavorare.

Con un taglio delle mensilità che produrrà un risparmio per la casse statali di 785 milioni di euro nel 2023. Mentre dal 2024 per chi in teoria può lavorare non ci sarà più nulla. L’articolo 59 della legge di bilancio ha decretato lo stop al Reddito per tutti i nuclei che non abbiano al loro interno minori, disabili o ultrasessantenni. Secondo la relazione tecnica si trovano in questa condizione 404 mila famiglie (percepiscono in media 543 euro). Si tratta del 38,8% della platea complessiva dei nuclei che nello scorso ottobre prendeva il reddito: un milione e 40 mila famiglie, 2,33 milioni di persone. Se si considerano i singoli beneficiari a perdere il reddito sarà una quota minore, il 22,9% degli individui. Ma in numeri assoluti il conto sale a 533mila che restreranno senza assegno. Scelta che peraltro, nota l’Upb, colpirà anche circa il 30% percettori del reddito che sono occupati (dunque non propriamente fannulloni) ma hanno redditi molto bassi. Dati diversi sono stati forniti lunedì dall’Istat. Il presidente Gian Carlo Blangiardo ha osservato infatti in audizione che sono 846mila gli individui soggetti alla riduzione del sostegno anti-povertà.

Un numero, ha spiegato, che equivale a un beneficiario del reddito su cinque ma che diventa di oltre uno su tre (circa il 35%) se si considera solo chi sta tra i 18 e i 59 anni. In pratica sono oltre 300mila individui in più rispetto ai numeri indicati nella manovra. Come è possibile? L’analisi dell’Istat prende in esame la platea complessiva dei percettori del reddito di cittadinanza nell’intero 2021, ovvero circa 4 milioni di persone, mentre la manovra si riferisce a un singolo mese del 2002. Contrariamente a quello che si può pensare la platea dei “redditisti” non è immobile.

C’è chi esce dalla misura perché non rientra più nei limiti reddituali, o chi viene sospeso al termine dei 18 mesi e poi rientra. Così come ci sono nuovi accessi alla misura da parte di chi ha perso il lavoro o non ha più altre forme di welfare. Il taglio dell’assegno nel corso del 2023 inevitabilmente impatterà sulle condizioni di vita di una platea più vasta dei 404 mila nuclei indicati. La stessa relazione tecnica alla manovra implicitamente lo riconosce: calcolando che in media verranno pagate ai percettori 3,6 mensilità di reddito in meno e non le 4 massime previste perché il taglio si distribuirà su più persone.

Anche secondo l’Anpal i numeri sono maggiori: al 30 giugno scorso erano 660mila i percettori indirizzati ai Patti per il lavoro. L’Istat sottolinea anche come la platea dei cosiddetti occupabili non sia molto diversa dal resto dei redditisti: anche loro hanno «forti difficoltà di accesso al mercato del lavoro, livelli di istruzione particolarmente modesti, tassi di inattività specifici molto elevati e ridotti segnali di lavoro». Inoltre, la distribuzione sul territorio è fortemente sbilanciata sul Mezzogiorno (dove le occasioni occupazionali sono più limitate). «Caratteristiche che rendono prima di tutto necessario migliorare i processi di inclusione sociale e lavorativa e di formazione e riqualificazione professionale dei beneficiari », conclude l’Istat. Mentre anche l’Upb suggerisce «alla luce del fatto che il Rdc costituisce un livello essenziale di prestazione> l’opportunità di «prevederne l’abolizione contestualmente all’introduzione di un nuovo strumento» e non già da agosto. Suggerimento per ora non ascoltato.

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