venerdì 15 maggio 2015
Cresce il peso dei social media (56%) nella dinamica d’incontro tra domanda e offerta. Oltre all'inglese stanno acquisendo sempre più importanza il tedesco (20,7%), il francese (17,5%) e lo spagnolo (14,3%). Aziende fiduciose, ma lavoratori ancora prudenti.
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Se il passaparola resta la via più veloce per individuare nuove opportunità di impiego, cresce il peso dei social media nella dinamica d’incontro tra domanda e offerta di lavoro. E, fra le competenze che un candidato deve possedere, grande attenzione è riservata alle cosiddette soft skill. Parola di Hays, società leader specializzata nella ricerca di profili di middle e top management, che nel Salary Guide, analizza il mercato del lavoro e le sue dinamiche. Lo studio, che quest'anno ha coinvolto più di 1.000 professionisti e 270 aziende a livello nazionale, analizza il mercato del lavoro e le sue dinamiche, gli andamenti retributivi e le figure più ricercate, ma anche l'uso dei social media nella selezione, il Jobs act e le quote rosa.A puntare sempre sul passaparola è il 69% del campione. Mentre il 56% dei professionisti ritiene i social media una vetrina ideale per mostrare, agli occhi dei recruiter, il proprio profilo e la propria expertise. Del resto, oltre la metà delle aziende (57,1%) afferma di eseguire, in fase di selezione, uno screening dei profili social del candidato, per avere una visione più completa del professionista (95,2%) e per individuare possibili incongruenze nelle esperienze di lavoro dichiarate (21,2%).Tra i social media più utilizzati per scopi professionali, Linkedin si aggiudica il primo posto (100%), seguito da Facebook (32%) e Twitter (17%).Quanto al profilo del candidato ideale, tra le competenze più apprezzate dalle aziende italiane emergono soft skill come la forte motivazione (71%), la capacità di adattarsi (65,7%), la versatilità (49,5%) e lo spirito di sacrificio (42,9%). Tra le hard skill, il 78,1% delle aziende mette al primo posto le conoscenze linguistiche del potenziale collaboratore.Oltre all’inglese, considerato la conditio sine qua non dalla totalità del campione (100%), stanno acquisendo sempre più importanza il tedesco (20,7%), il francese (17,5%) e lo spagnolo (14,3%). E proprio per sbaragliare la concorrenza, i professionisti italiani stanno investendo sulle competenze linguistiche: per risultare più appetibili sul mercato del lavoro, infatti, il 55% degli intervistati ha deciso di dedicarsi all’apprendimento di una terza lingua come il tedesco (32%), il francese (29%), lo spagnolo (25,4%) e il cinese (14,3%).Grande importanza nelle dinamiche della selezione viene ricoperta, poi, dai benefit, economici e non, ritenuti dall’81% delle aziende un importantissimo strumento per il reclutamento e la retention dei professionisti migliori. Tanto che il 94% dei professionisti afferma di valutare attentamente la presenza di benefit in eventuali opportunità lavorative. Tra i più ambiti, figurano l’auto aziendale (86%), l’assicurazione sanitaria (78,8%) e, solo per ultimo, il telefono cellulare (30%).Intanto le aziende italiane ritrovano la fiducia, mentre i professionisti continuano a mantenere unatteggiamento prudente. Entrambi concordano, però, sui temi al centro dell'agenda politico-economica del Paese come il Jobs act, la modifica all'articolo 18 e l'anticipo del Tfr in busta paga.Dopo anni di incertezza e precarietà, il mercato del lavoro in Italia sembra risalire la china, come dimostra l'ottimismo delle aziende intervistate. Il 47% del campione, infatti, ha pianificato nuoviingressi per i prossimi mesi, focalizzandosi soprattutto su profili tecnici e di middle management (70%), professionisti con una breve esperienza professionale (39%), tirocinanti e apprendisti (48,1%). Il 33,3% delle aziende ha, inoltre, incrementato il budget destinato alle attività di ricerca e selezione, mentre il 46,5% ha riconfermato il livello d'investimento dello scorso anno.  E dall'altra parte della scrivania? Purtroppo, non si registrano le stesse fiduciose aspettative. Secondo il 51% dei professionisti, il mercato del lavoro sta ancora attraversando un periodo difficile per effetto della crisi economica, per il 16% del campione il mercato è in fase di stallo, mentre solo il 15% dei lavoratori intravede una possibilità di ripresa nei prossimi mesi.Pareri discordanti tra imprese e addetti anche sui problemi che continuano ad affliggere il mercato del lavoro. L'82% delle aziende mette al primo posto l'elevato costo del lavoro, a cui seguono l'eccessiva rigidità della legislazione (58%), la sovrabbondante burocrazia (55%) e lo scarso dinamismo del mercato (43%).Secondo i professionisti intervistati pesano, invece, sull'attuale scenario economico, la sproporzionata tassazione per le aziende intenzionate ad assumere (76%), il clima di sfiducia generale (53%), la recessione economica (41%) e la difficoltà di accedere al creditobancario (35%). Lavoratori e aziende, seppur con percentuali diverse, concordano invece sui temi al centro dell'attuale dibatto politico-economico. Secondo il 45% delle aziende, il Jobs act non saràsufficiente a rilanciare l'occupazione senza un'adeguata riforma del sistema fiscale. La quasi totalità del campione (75,8%) si ritiene, invece, favorevole alla riforma dell'articolo 18 per dare nuovo slancio al mercato occupazionale in Italia.Sulla questione dell'inserimento in busta paga del Tfr, il 45,2% delle imprese è contrario perché mette a rischio la propria liquidità.Anche il 42% dei professionisti italiani ritiene che il Jobs act non sia sufficiente per dare respiro all'economia senza un'adeguata revisione fiscale. Per quanto riguarda, invece, l'articolo 18, è damodificare per il 44% dei lavoratori, mentre sei professionisti su dieci si dichiarano contrari all'anticipo del Tfr in busta paga, perché danneggia la liquidità delle imprese già messa a dura prova dalla crisi economica. Nonostante la turbolenza di questi ultimi anni, il 66,4% delle aziende non ha diminuito (o congelato) lo stipendio base dei propri dipendenti nel corso del 2014, tanto che quattro lavoratori su dieci (38,7%) hanno addirittura visto aumentare la propria retribuzione. Molti professionisti (58%) possono, inoltre, contare su una percentuale variabile del proprio stipendio, che può essere subordinata al raggiungimento di obiettivi individuali (71%), risultati aziendali (64,6%), o alla valutazione delle performance lavorative (33,5%).Infine, dati interessanti emergono anche dal rapporto donne e carriera. Aziende e professionisti, nella stessa percentuale (70%), ritengono che l'Italia non offra alle donne le stesse possibilità dicarriera dei colleghi uomini.Tra le principali ragioni di questa disuguaglianza spiccano: la mancanza di efficaci pratiche di conciliazione famiglia-lavoro come il telelavoro o la formula del part-time (63,5%), l'assenza di politiche a sostegno della famiglia (61,1%), la disomogeneità nella disponibilità di servizi all'infanzia (35,8%) e la mancanza di meritocrazia (35,1%).

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