Il presidente Calzolari chiede al governo una riforma sulla durata del latte fresco
La filiera del latte non si ferma, semmai cambia percorso per adeguarsi alle difficoltà imposte dall’emergenza cononavirus. Riconverte le produzioni, sperimenta le consegne a domicilio e investe nella ricerca per capire come mai il virus non aggredisce i bambini. Granarolo, azienda leader del settore, società per azioni con un cuore cooperativo composto da 700 allevatori in dodici Regioni, ha dovuto come tutti rivoluzionare il suo modo di lavorare. Dal presidente Gianpiero Calzolari arriva una richiesta forte al governo: valorizzare la qualità dei prodotti italiani, rivedendo norme datate e rendendo possibile la vendita del latte fresco con una scadenza di 10-12 giorni.
Presidente Calzolari, quali difficoltà state affrontando?
Le difficoltà sono legate a tante situazioni diverse. Da una parte è scomparso il mercato dell’Horeca (acronimo di hotellerie, restaurant e cafè) che per noi rappresenta circa un quarto del mercato. Bar, gelaterie, ristoranti sono chiusi e quindi non hanno bisogno dei nostri prodotti freschi. Per molti piccoli produttori del Sud questo ambito rappresenta la quasi totalità dei clienti. Al Nord al momento c’è molta preoccupazione per il funzionamento degli impianti e per l’export, vista l’emergenza globale. Abbiamo deciso di dirottare grandi quantità di latte fresco che oggi non riusciremo a vendere, per via delle restrizioni agli spostamenti, in prodotti che la grande distribuzione sta assorbendo come il latte a lunga conservazione e le mozzarelle.
Il latte fresco quindi non si vende più?
Le vendite sono in calo perché per legge il latte fresco si deve vendere entro sei giorni dal confezionamento. Quando arriva sugli scaffali dei negozi in genere ne ha tre o quattro. L’Uht ha un valore aggiunto molto più basso, che va di passo con la qualità molto inferiore. Da tempo chiediamo la possibilità di certificare la durata del latte sui reali 10-12 giorni. Abbiamo ampiamente dimostrato che il latte oggi si conserva perfettamente per molti più giorni. Siamo vincolati ad una norma di 30 anni fa, ormai superata. Al governo non chiediamo aiuti ma una misura concreta e a costo zero. Si tratta di un paradosso che non ha eguali in Europa, dove sono le aziende a stabilire la data di scadenza di un prodotto. È anche vero che negli altri paesi il consumo di latte fresco è molto più basso, si tratta di un prodotto di alta qualità che dobbiamo difendere e che oggi ha un livello di spreco altissimo.
Come vi siete riorganizzati in seguito alle limitazioni da coronavirus?
Siamo un gruppo cooperativo e anche in questo momento ci comportiamo come sempre: raccogliamo tutto il latte, da parte dei nostri soci e anche un po’ di latte in più per aiutare chi si trova in difficoltà. A Bologna abbiamo iniziato a fare delle consegne gratuite. Abbiamo un migliaio di camioncini che portano i prodotti alle latterie, ai bar, alle gelaterie molto lavoro manca e così abbiamo pensato di aiutare le persone anziane, ma non solo. Il ricorso alla spesa on-line nei supermercati è diventato difficile, al momento riusciamo a soddisfare un centinaio di richieste ma contiamo di estendere il servizio anche in provincia e poi di arrivare a Milano dove siamo presenti con il marchio storico Centrale di Milano. In Italia abbiamo 14 stabilimenti, tutti in funzione. Dalla prossima settimana metteremo a punto il sito con tanto di catalogo e pagamenti on line.
Le esportazioni rappresentano per Granarolo un terzo del fatturato, siete presenti anche in Cina?
Il mercato cinese è un mercato enorme, noi al momento rappresentiamo circa il 10% dell’export del comparto in buona parte latte Uht, mascarpone e latte per bambini in brick che viene particolarmente apprezzato. I nostri prodotti sono i più sicuri perché l’Italia ha un sistema di tutela e di controllo della filiera molto rigoroso.
Sul fronte della solidarietà avete avviato delle iniziative? Abbiamo una cultura della responsabilità sociale molto radicata anche per la nostra origine cooperativa. Ci è sembrato naturale, pur essendo noi stessi in difficoltà, destinare delle risorse della Protezione civile di Lombardia e Emilia Romagna, in tutto 300mila euro, che sono le regioni più colpite dal virus e quelle nelle quali siamo più presenti. Abbiamo donato mascherine e altri presidi, fornito i nostri prodotti negli ospedali e ai volontari. C’è poi un progetto legato all’ospedale Sant’Orsola con il quale abbiamo un rapporto consolidato, in particolare con il reparto maternità. Abbiamo finanziato con 150mila euro uno studio per capire come i bambini reagiscono al virus nell’ottica della creazione di un vaccino o di cure mirate. Per i nostri dipendenti abbiamo un’assicurazione sanitaria e un incentivo di 200 euro netti al mese per marzo e aprile. Un modo per ringraziarli per il loro impegno quotidiano.