sabato 14 settembre 2013
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«I Riva e l’Ilva rappresentano il 45% della produzione nazionale di acciaio. Uccidere il gruppo Riva significa uccidere la siderurgia italiana. La filiere e i settori collegati. A cominciare dalla meccanica. Con un danno d’immagine all’estero che non si può quantificare. Una situazione letale per la nostra economia, frutto delle decisioni di un singolo magistrato. È possibile?». Antonio Gozzi, professore di economia a Genova e industriale della multinazionale Duferco, è presidente di Federacciai, la federazione che rappresenta le 150 imprese siderurgiche del nostro Paese. Un settore strategico, oggi fortemente a rischio: come dire, dopo l’Ilva il diluvio.Descrive una situazione apocalittica…È a rischio tutto il nostro sistema produttivo. E, ripeto, tutto per una decisione di un singolo magistrato.A caldo ha parlato di «accanimento giudiziario».E lo confermo: non ha senso bloccare attività di aziende che stanno anche mille chilometri da Taranto e che nulla hanno a che vedere con le problematiche di quell’impianto. Quello della magistratura è un atto estremo.Ci sono 8 miliardi che sarebbero stati sottratti dai Riva alle casse dell’Ilva…So che dal 1995, cioè da quando i Riva hanno acquisito l’Ilva di Taranto, sono stati investiti 4,5 miliardi, e di questi 1,2 sul fronte ambientale. Gli utili sono stati di 4,2 miliardi. Gli otto miliardi contestati sono il frutto di un calcolo cervellotico dei magistrati, che non è mai stato discusso con la proprietà davanti a un giudice.I Riva rispondono con sette impianti chiusi, 1.400 persone a casa. Non è un ricatto sulla pelle dei lavoratori?Non c’è nessun ricatto, nessuna rappresaglia. I Riva hanno applicato il provvedimento della magistratura. Come possono continuare le attività, imprese che sono rimaste senza soldi e senza alcuna operatività? Come si possono pagare i fornitori, l’energia, gli stipendi?C’è una via di mezzo? Si può uscire dall’impasse?Con l’intervento della politica. Con il dissequestro, come avvenne per l’Ilva con la legge 231. Garantendo l’operatività degli strumenti d’impresa. Ma senza commissariamenti. Quello dell’Ilva avrebbe dovuto portare la pacificazione. Le sembra ci sia un clima di pacificazione? Allora parlò di «mostro giuridico».Un commissariamento che ha cancellato il diritto di proprietà. Oltre che rappresentare un pericoloso precedente. Sarebbe stato saggio nominare un commissario ad acta per le questioni ambientali senza estromettere i Riva dalla proprietà. Perché un’impresa senza proprietà non esiste.Eppure il commissariamento sembra una delle ipotesi sul tavolo del ministero per Riva Acciaio…Ho sentito il ministro Zanonato e non mi sembra sia questa la strada.E allora, su quali strade muoversi?Siamo davanti a un problema istituzionale grave. Occorre aprire un dibattito sereno che coinvolga anche e soprattutto i magistrati. Se vogliono salvaguardare la loro credibilità. Mi appello alla saggezza del Presidente della Repubblica come primo magistrato d’Italia, per ricostruire un ragionamento capace di evitare questi incubi. Lunedì i sindacati annunciano una mobilitazione. Cosa si sente di dire loro?Di non protestare per chiusure che non dipendono dalla volontà dell’azienda. Ma di fare fronte comune per liberare le aziende e il diritto di impresa. Stiamo lavorando a un documento in cui chiederemo la coesione di tutte le componenti aziendali e sociali, oltre che giudiziarie. In ballo non c’è solo l’Ilva. Ma la credibilità del nostro Paese nel mondo.
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