sabato 16 maggio 2015
Per Marco Cantamessa (nella foto), presidente dell'associazione degli incubatori universitari, le start up italiane hanno creato circa 15mila posti di lavoro altamente qualificati. L’impatto occupazionale complessivo, tenendo conto delle relazioni create nelle filiere a monte e a valle, e i consumi indotti, può portare a una stima di ben 75mila occupati.
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"Gli incubatori in Italia stanno dando un contributo significativo alla nascita e allo sviluppo delle start up italiane. In particolare, si stanno distinguendo gli incubatori universitari, che seguono circa il 25% delle start up italiane, focalizzandosi in particolare su quelle con maggiori contenuti tecnologici, e alcuni incubatori privati". Marco Cantamessa, professore del Politecnico di Torino, presidente dell’incubatore i3p e presidente di Pnicube, l’associazione degli incubatori universitari, prova a tracciare un bilancio di queste realtà abbastanza recenti nel panorama dell'economia e del lavoro.Come funzionano?Tutti offrono una rosa di servizi importante, che va dalla consulenza al fundraising, dal reclutamento delle risorse umane alla creazione di contatti commerciali. Più di tutto offrono agli imprenditori un luogo fisico dove creare insieme una vera e propria 'comunità imprenditoriale', nella quale confrontarsi e mettere in comune l’esperienza.  Quante sono le start up o gli spin off create in questi anni?Le start up innovative iscritte all’apposita sezione speciale del Registro Imprese sono ormai quasi 4mila. In Italia nascono pertanto ben più di mille start up ogni anno. Un numero interessante, che progressivamente porta a costruire un tessuto industriale capace di portare innovazione e occupazione.Quanta occupazione hanno creato?Si stima che, tra soci operativi e dipendenti, le start up italiane abbiano creato circa 15mila posti di lavoro altamente qualificati. L’impatto occupazionale complessivo, tenendo conto delle relazioni create nelle filiere a monte e a valle, e i consumi indotti, può portare a una stima di ben 75mila occupati. Un risultato importante, anche tenendo conto del fatto che ancora poche start up sono divenute grandi aziende. Quali sono i settori più attivi?C’è molto fermento in tutti i settori, e non solo nel mondo del 'digitale'. Oltre ai settori dell’informatica e delle telecomunicazioni, e soprattutto in ambito accademico, nascono molte startup attive nel settore dei dispositivi medici, della farmaceutica, dell’industria alimentare e dell’energia. Tra l’altro, oggi si osserva in tutto il mondo un significativo trend, nel quale il digitale inizia 'mettere in rete' anche prodotti tradizionali, portando a riprogettarli. In questo settore, chiamato 'Internet of Things', ogni oggetto viene a essere connesso in rete, acquisendo nuove funzionalità e permettendo di offrire nuovi servizi. Per l’Italia si tratta di un’opportunità straordinaria, vista la capacità della nostra industria di realizzare prodotti di alta qualità a costi ragionevoli. A questo riguardo, stiamo iniziando a osservare imprenditori che spostano le loro start up in Italia, o aprono qui centri di sviluppo, proprio per beneficiare di queste competenze.
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