sabato 23 agosto 2014
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La parola-chiave è 'popolarità'. Pressato dalla scadenza elettorale di maggio delle Europee - solo pochi mesi fa, è bene ricordarlo, i populismi sembravano potersi prendere l’Ue -, Renzi ha partorito una manovra tardo-primaverile di redistribuzione: 80 euro nelle tasche dei salari inferiori a 1600 euro netti, 10 per cento in meno di Irap alle imprese, botta fiscale sulle rendite finanziarie e stangata anche agli stipendi monstre della P.A. Tutto bello, ma il punto è che il Pil non ne ha ancora tratto beneficio. Anzi, l’attesa striminzita crescita dello 0,7 per cento è ormai un miraggio, al netto dell’artificio contabile che a settembre utilizzerà l’Istat includendo nel Pil anche le attività illegali. La prossima legge di stabilità sarà dunque il vero esame di maturità per Renzi. Dovrà confermare gli 80 euro, provare ad estenderli - come promesso, salvo poi fare un passo indietro - a famiglie numerose, pensionati e partite Iva. E poi pensare agli incapienti e al contempo smuovere alcune leve essenziali per attrarre investimenti industriali: energia, costo del lavoro, fisco. Il tutto senza nuovi balzelli, senza toccare le tasche dei 'soliti noti' (da ultimo l’esecutivo è stato accusato di voler agire su pensionati e statali), tagliando la spesa davvero improduttiva, privatizzando sul serio (anche la marea di municipalizzate) e rispettando il fatidico 3 per cento imposto da Maastricht.
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