mercoledì 21 marzo 2012
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Inascoltati. Non tutelati. Anzi, penalizzati. Di fatto, beffati. I giovani precari si sentono così rispetto alla trattativa sulla riforma del mercato del lavoro. Se al centro delle preoccupazioni dovevano esserci proprio i giovani e chi non può contare su un contratto standard a tempo indeterminato, beh l’obiettivo non sembra raggiunto. Almeno nella sensazione che questi stessi soggetti hanno della trattativa giunta alle battute finali.Il malessere, che parte dalla mancata consultazione, viene da un cartello di una ventina di associazioni, riunite intorno ai Giovani democratici, l’associazione "XX maggio flessibilità sicura", "Lavoro & welfare giovani". Gli stessi che la settimana scorsa avevano esposto proposte, richieste e rimostranze alla segreteria del Pd. «Nelle ipotesi di riforma emerse finora ci sono degli aspetti positivi di migliore regolazione del lavoro subordinato – spiegano in una nota –. Ma anche provvedimenti insopportabilmente ingiusti e penalizzanti per i più deboli, i lavoratori discontinui come collaboratori a progetto, co.co.co. partite Iva individuali, associati in partecipazione, cessione di diritti d’autore, soci di cooperative non dipendenti». Il primo nodo evidenziato riguarda il fatto che questi titolari di contratti atipici continueranno a essere esclusi dai nuovi ammortizzatori sociali. «Protezione universale un corno! – sbotta Davide Imola, responsabile della XX maggio –. I parasubordinati non avranno la nuova indennità di disoccupazione e per queste 2.600.000 persone si continua a teorizzare che non abbiano bisogno di migliori tutele in caso di malattia, maternità, infortunio, è assurdo». Per paradosso viene eliminata perfino quell’indennità minima che era stata varata dal governo Berlusconi per i collaboratori rimasti senza contratto. Aveva funzionato in pochi casi, ma almeno rappresentava un primo segnale. Altra questione collegata è quella della disoccupazione a requisiti ridotti. Per accedere occorrerà aver lavorato almeno 13 settimane contro le 11 finora previste. «Ma già adesso è difficile per molti giovani accumulare 78 giornate di lavoro continuativo, il rischio è allora che tutti preferiscano non regolarizzare e lavorare in nero tanto il sussidio di disoccupazione non l’avranno mai».Gli altri nodi evidenziati riguardano in particolare il tema dei costi e dell’aumento dei contributi, che rischiano di essere scaricati dai datori di lavoro a danno dei compensi netti per i lavoratori, come già accaduto negli anni scorsi. Anche perché non viene introdotto alcun riferimento obbligatorio ai livelli salariali stabiliti con la contrattazione. «Ancora una volta si incrementano in particolare i contributi previdenziali fino a parificarli quasi con quelli dei dipendenti, ma così facendo si cercano soldi dai più deboli per finanziare gli ammortizzatori sociali dei lavoratori dipendenti – si spiega –. Meglio sarebbe agire sull’aliquota dei contributi sociali, che almeno comportano un beneficio per i precari». Infine un problema tecnico ma assai importante: il calcolo dei minimali per accreditare i contributi, che penalizza i parasubordinati. In pratica infatti, a causa dei bassi redditi, a fronte di 12 mesi di lavoro, ai fini previdenziali si riescono ad accreditare solo 7-8 mesi.Anche i consulenti del terziario avanzato, riuniti nell’associazione Acta, lamentano di non essere stati minimamente ascoltati durante il negoziato. Ed evidenziano come sia mancato il riconoscimento della specificità e della necessità del lavoro professionale autonomo, che si poteva ottenere attraverso un corretto calcolo del cuneo fiscale-contributivo, differenziando i trattamenti tra autonomi "deboli" e "forti", l’adozione di una logica di incentivazione e l’attenzione a evitare misure punitive per i lavoratori.
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