mercoledì 8 gennaio 2020
L'ex numero uno dell'alleanza franco-nipponica è fuggito in una valigia dal Sol Levante. Dal Libano dice: "Hanno ostacolato il matrimonio con Fca, incredibile occasione persa"
Carlos Ghosn

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Un tempo nel mondo dell’automobile e dell’automotive in generale i progetti di nuovi veicoli venivano sviluppati in grandissimo
segreto. Ma nell’ultima parte del secolo scorso presero piede le joint venture, si iniziò con lo sviluppo di piccoli veicoli industriali che avevano parti in comune seppur poi commercializzati da brand differenti. Filosofia che, per ragioni di taglio dei costi di produzione, si è poi estesa anche all’automobile. E alla fine, sempre per ragioni di economia di scala, ha portato alla fusione dei marchi. In alcuni casi con passaggi dolorosi, con la cancellazione di autentiche icone del mondo delle quattro ruote.

Il preambolo è utile per vedere gli ultimi sviluppi del caso Carlos Ghosn, l’ex presidente dell’alleanza Renault-Nissan (più Mitsubishi), finito nelle galere giapponesi e poi fuggito dagli arresti domiciliari (ottenuti su cauzione) arrivando in Libano il 30 dicembre. E' accusato dalla giustizia nipponica di malversazione finanziaria (4 i capi di imputazione), accuse che respinge con fermezza. Cosa che ha fatto pubblicamente: il manager è apparso in conferenza stampa a Beirut, in Libano, per raccontare la sua verità.

Con parole pesanti perché se ha definito la sua fuga una scelta obbligata, la "decisione più difficile della mia vita" e "non
per scappare dalla giustizia" - tra l’altro denunciando che le condizioni di detenzione in Giappone sono "una farsa" contro i diritti umani e la dignità - ma per farlo "dalla persecuzione politica". Perché persecuzione politica? Perché a suo dire il suo caso non sarebbe altro che "un complotto" ordito dalle autorità giapponesi per impedire ulteriori sviluppi all’integrazione con Renault. Un complotto che gli ha “regalato” 400 giorni di detenzione dal novembre 2018 cogliendolo di sorpresa. Perché, il dirigente di
origini libanesi – ma pure francese e brasiliano – punta il dito sulla complicità politica e di alcuna parte del management interno di Nissan per impedire nuovi sviluppi dell’intesa tra i due gruppi dell’auto.

Politica che avrebbe messo lo zampino anche nel mancato matrimonio tra Renault ed Fca, "un’incredibile occasione persa" la definisce, ricordando che era stato protagonista della negoziazione dal 2017 quando parlava "direttamente con
John Elkann, mentre adesso non c’è più una direzione strategica". Resta il fatto che dall’arresto la capitalizzazione di mercato di Nissan è scesa di 10 miliardi di dollari, quella di Renault di 5 miliardi.

Tolti i sassolini dalle scarpe, ora Ghosn è tranquillo a Beirut: Libano e Giappone, infatti, non hanno trattati di estradizione e
l’Interpol non sembra intenzionata a chiedere a Beirut di arrestarlo. In più la Francia sarebbe pronta ad accoglierlo. Intanto, però, la Procura di Tokio replica al manager dicendo che Ghosn "dovrebbe incolpare solo se stesso per essere stato arrestato" dal momento che "ha palesemente violato la legge giapponese".

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