venerdì 8 settembre 2023
La protesta dei lavoratori del rigassificatore di Wheatstone in Australia rischia di togliere dal mercato globale il 5% del gas naturale liquefatto. Corrono le quotazioni del TTF europeo
L'impianto di rigassificazione di Chevron a Wheatstone, in Australia

L'impianto di rigassificazione di Chevron a Wheatstone, in Australia - Reuters

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Uno sciopero in Australia ha spinto verso l’alto le quotazioni del gas in Europa: i contratti future sul Ttf olandese per le consegne di ottobre hanno aperto con un rialzo superiore al 10%, per poi rallentare attorno al +6%, a circa 35 euro per megawattora. A ricordare agli europei che nonostante la situazione a livello di approvvigionamenti e anche di prezzi oggi sia tranquillizzante, viviamo in un contesto che spinge a rimanere sempre in allerta su quanto succede sul mercato dell’energia.

A protestare sono i lavoratori degli impianti di rigassificazione di Gorgon e Wheatstone, poco meno di 500 persone che chiedono a Chevron, che controlla l’impianto insieme a Exxon e Shell, aumenti di stipendio e miglioramenti delle condizioni di lavoro. Sarebbe una vertenza locale, se non fosse che da questo impianto su un’isola lungo la costa nord occidentale dell’Australia partono ogni giorni navi con un carico complessivo di circa 60 milioni di metri cubi di gas naturale liquefatto (Gnl), destinati al mercato asiatico: Cina, Giappone, Corea del Sud e Taiwan. È circa il 5% del commercio globale di Gnl. La protesta, convocata dalla Onffshore Alliace, è stata rimandata due volte nella speranza di raggiungere un’intesa. L’accordo non c’è stato, la trattativa si è fermata e ora si fa sul serio: la protesta inizierà il 14 di settembre e durerà due settimane, in assenza di un accordo.

Le prospettive di un blocco delle forniture australiane hanno spinto i trader asiatici a cercare alternative, rivolgendosi agli esportatori di gas naturale liquefatto dell’area mediorientale (su tutti il Qatar) e anche a quelli americani. Questi però sono già i grandi fornitori dell’Europa, costretta ad aumentare drasticamente le importazioni di gas liquefatto per ridurre la dipendenza dal gas russo, la cui quota sull’importazione di gas in Europa è crollata in un anno dal 45% al 15%. La pressione sui pochi fornitori di gas naturale liquefatto spinge le quotazioni al rialzo.

Certo, per adesso la situazione nonostante qualche fiammata delle quotazioni appare sotto controllo, lontana dall’emergenza dell’estate 2022, quando l’Europa temeva di non riuscire a procurarsi abbastanza gas naturale per riscaldare le abitazioni in inverno e il Ttf sfondò i 350 euro per Mwh. Il lavoro di riempimento dei centri di stoccaggio ha dato risultati importanti: la media europea è oltre il 93% (in Italia siamo vicini al 94%). In prospettiva però si intravede una tensione sui prezzi che resterà: i future del Ttf, che nonostante la centralità dell’Olanda nel mercato europeo del gas appartenga ormai al passato rimane il principale indice per i prezzi europei, indicano un prezzo medio di 48 euro per Mwh per l’inverno 2023 e di 55 euro per l’inverno 2024. Segno che il mercato si aspetta comunque una certa instabilità per il futuro.

Gli effetti che lo sciopero australiano possono avere sulle bollette europee confermano quanto imprevedibili possano essere i fattori di instabilità: la scelta quasi obbligata di rivolgersi maggiormente al mercato del gas liquefatto invece di quello del gas che passa dalle condotte porta l’Europa ad essere maggiormente “sul mercato”. Le navi metaniere possono cambiare destinazione a seconda di dove viene offerto di più per il loro carico, con una flessibilità che gli esportatori di metano via gasdotto non avranno mai. Questo aiuta l’Europa nei momenti in cui la domanda è scarsa e l’offerta abbondante ma peggiora la situazione quando invece si verifica qualche intoppo sul lato dell’offerta.

Il rialzo del gas arriva tra l’altro in una fase già di alta tensione sul mercato delle materie prime energetiche. La Russia e l’Arabia Saudita hanno confermato i tagli alla produzione di petrolio con l’obiettivo di dare una spinta alle quotazioni del greggio, che infatti sembrano dirette verso i 100 dollari al barile. Con le inevitabili ricadute sui prezzi alla pompa in Europa (dove paghiamo anche la debolezza dell’euro). Con queste premesse, nonostante la frenata dell’inflazione, andiamo verso un autunno tristemente costoso.

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