mercoledì 10 gennaio 2024
Le imprese trattengono più lavoratori per il timore di non trovarne in caso di bisogno. Certo c'è il lavoro povero ma le ultime assunzioni sono a tempo indeterminato e pieno
Andrea Garnero, economista del lavoro

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Non sarà che l’Italia è “più ricca”, che cresce maggiormente di quel che sembra dalle statistiche ufficiali? A farsi la domanda – e a darsi risposte più complesse di un sì o di un no – è Andrea Garnero, economista del lavoro, fra i curatori del rapporto Ocse sulle prospettive occupazionali nel mondo.

Come si spiega l’aumento, anche consistente su base annua, degli occupati quando l’economia in generale è stagnante e il nostro Pil aumenta in maniera stentata come nel 2023 (+0,4%)?
Questa è in realtà la domanda del momento che gli osservatori si pongono, in diverse proporzioni, anche negli Stati Uniti e in buona parte dei Paesi europei. Ci sono almeno tre risposte possibili. La prima è che in Italia cresca in maniera preponderante il lavoro povero, scarsamente remunerato e poco tutelato. Gli ultimi dati, però, non vanno proprio in questa direzione, se si considera che ad aumentare sono in particolare gli occupati a tempo indeterminato e a tempo pieno, nell’industria e nell’edilizia, non più solo i part-time involontari o i precari dei servizi. La seconda possibile risposta è che le imprese, scottate dall’esperienza della pandemia, stanno trattenendo forza lavoro, anche in misura leggermente superiore a quella di cui avrebbero bisogno, per evitare di trovarsi in difficoltà – in caso di bisogno – a reperire personale, in particolare specializzato. C’è poi la terza risposta che forse è quella che spiega di più il fenomeno e prende in considerazione la possibilità che sia il Pil, in realtà, ad essere sottostimato. Il modello non è perfetto e anche negli Usa da tempo considerano più realistica una media tra stima del Pil e del Ril (Reddito interno lordo). Come ha notato il collega Riccardo Trezzi, quest’ultima misura ha valori maggiori ed è probabile che rifletta meglio l’andamento della ricchezza del Paese e degli italiani, in una fase di crescita continua dell’occupazione.

C’è anche il fattore demografico a incidere in maniera significativa...
Certo, soprattutto in Italia dove la forza lavoro cambia la sua consistenza di anno in anno, se non di mese in mese, con sempre meno giovani che entrano nel mercato. In questo caso si può avere meno produzione (meno Pil) ma più “ricchezza” dei singoli soggetti. Per capirci: il Pil del Lussemburgo è minore di quello dell’Italia ma i suoi abitanti sono ben più ricchi di noi...

Secondo una certa narrazione, l’aumento degli occupati e il calo degli inattivi è dovuto anche al taglio dei sussidi come il Rdc? È una chiave di lettura valida?
Può esserci una componente di lavoro nero o grigio che emerge, anche perché alcune imprese possono essere interessate a trattare meglio i propri lavoratori onde evitare di perderli. Ma non credo che il taglio al Rdc abbia prodotto tutta questa nuova occupazione, non fosse altro perché gli ex-percettori erano tra le persone più lontane dal mercato del lavoro, difficile che si siano “piazzate” da sole senza supporti.

L’intelligenza artificiale sembra non stia ancora impattando sul mondo del lavoro italiano: è così?
Sì, non si vede ancora alcun effetto. E questo innanzitutto perché sono le imprese a non aver ancora iniziato a implementare l’utilizzo delle nuove tecnologie. Che non è usare ChatGPT per scrivere le email o illustrare le presentazioni ma ripensare completamente l’organizzazione del lavoro e della produzione a partire dall’adozione dell’Intelligenza artificiale. È un processo di riorganizzazione molto profondo, non semplice né immediato, rispetto al quale le aziende procedono, com’è comprensibile, con molta prudenza.

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