giovedì 30 aprile 2020
Disoccupati e lavoratori poveri devono essere la priorità in questa nuova fase di ripresa lenta. "Mi saperei aspettato protocolli più stringenti per il rientro"
Il presidente di Confcooperative Gardini

Il presidente di Confcooperative Gardini - Ansa

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Una festa che arriva in una fase del tutto singolare, anche se mai come quest’anno le dediche sono tante: «Impossibile non pensare oggi agli eroi silenziosi del nostro tempo, dai medici agli operatori sanitari e dei servizi socio–assistenziali che, in alcuni casi, hanno prestato servizio anche senza dispositivi di protezione adeguati, passando per il personale dei supermercati, del trasporto, dei servizi di pulizie, facchinaggio e sanificazione. Adesso più di prima dobbiamo concentrarci sui più fragili, a partire dai disoccupati ma senza dimenticarci dei tanti lavoratori poveri, in quanto senza adeguate tutele o con un reddito insufficiente per condurre una vita dignitosa». Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, invita a trascorrere questo Primo Maggio nell’epoca del lockdown ponendo la massima attenzione a non lasciare indietro nessuno: «È una festa di attesa. Pensavamo di essere proiettati sull’avvio Fase 2, invece ci ritroviamo con una ripresa lenta».

Presidente, si attendeva una ripartenza più decisa?

Premetto che nessuno vuole sottovalutare o venir meno agli aspetti della sicurezza e della salute, ma va anche detto che l’Italia è stato il primo Paese a chiudere tutto e probabilmente sarà l’ultimo a riaprire. Stiamo già pagando un prezzo economico salatissimo, con centinaia di migliaia di persone che rischiano di perdere l’impiego. Dalla politica mi sarei aspettato l’attuazione di protocolli più stringenti per il ritorno al lavoro; test rapidi per operatori sanitari e pazienti in situazioni più fragili (negli ospedali, nelle Rsa e nelle comunità) per gestire le situazioni di particolare criticità; ossigeno immediato per le imprese, mentre le risorse previste dal “decreto liquidità” stentano a essere erogate. Non si può festeggiare il Primo Maggio senza dare la necessaria importanza alla salvaguardia dei posti di lavoro, alle filiere che forniscono per le Pmi e alla tenuta di settori strategici per l’economia italiana come il turismo e il commercio.

Andiamo incontro a un aumento della disoccupazione. Le risorse sul lavoro andrebbero destinate di più ai sussidi oppure è meglio dare incentivi per creare nuova occupazione?

Non è sufficiente affidarsi agli ammortizzatori sociali. Anche perché gli interventi che si fanno sono tutti “a debito” e dunque esasperano il rapporto deficit/Pil e rappresentano un’ipoteca sul futuro delle ultime generazioni. È chiaro che, soprattutto in questa fase, occorre trovare un equilibrio tra sussidi e investimenti che consentano a imprese condizioni di generare e sviluppare lavoro. Ma non è solo una questione economica: ci sono provvedimenti a costo zero che verrebbero incontro alle imprese, sburocratizzando alcune procedure, ma non vengono neanche presi in considerazione.

Le nuove modalità di lavoro con cui tante persone sono state costrette a convivere – a partire dallo smart working – porteranno cambiamenti strutturali anche nella cooperazione sociale?

La stagione del coronavirus – che sta provocando ferite, sofferenze e disagi – ha avuto qualche risvolto positivo, come nel caso dell’accelerazione sullo smart working. È un sistema che ci spinge all’innovazione, aiutandoci a essere più efficaci, più brevi e anche più concreti. Naturalmente ci sono situazioni, professioni e impieghi in cui è indispensabile la presenza fisica. Tuttavia, anche se a un ritmo ridotto rispetto ad ora, il lavoro da remoto sarà un punto di non ritorno per il Paese. Non solo: lo smart working ci consentirà anche di affrontare meglio il più grande ostacolo del (lento) ritorno alla normalità: la gestione della mobilità. Nelle grandi città oltre l’80% delle persone per raggiungere i luoghi di lavoro utilizza metro, bus o treno. Ridurre le presenze sui mezzi pubblici, dunque, aumenta le possibilità di rispettare il distanziamento sociale.

Quanto è serio il pericolo che con la recessione si acuiscano le diseguaglianze?

Il rischio esiste ed è alto. Basti ricordare cosa è accaduto con la Grande Crisi esplosa nel 2008. Ogni fase di ciclo economico negativo, se non governata bene, produce squilibri sociali. Oltre al timore di un aumento della disoccupazione, c’è quello di un’impennata dei lavoratori poveri. Nei prossimi giorni uscirà un focus di Censis–Confcooperative dedicato proprio al peso degli occupati fragili nella nostra società. È un tema che riguarda tutti: migranti, colf, badanti, ma anche tanti giovani o over 50 italiani.

Il Non profit come uscirà da questa crisi?

Il nostro mondo è stato messo a dura prova negli ultimi mesi. Chi è rimasto in attività non si è mai tirato indietro, producendo sforzi straordinari. Mentre chi si è fermato adesso ha bisogno di risorse finanziarie adeguate per ripartire. In generale, sono molto preoccupato per la tenuta Terzo settore e della cooperazione sociale, anche perché c’è una parte della politica italiana che pensa di poter fare a meno di questa esperienza fondamentale del nostro Paese. Piuttosto che fare proclami di ripristino di processi di statalizzazione, mi preoccuperei di recuperare un senso vero e autentico dell’impegno di sussidiarietà. Chi pensa che il pubblico possa fare tutto, dalla sanità al welfare, è fuori dalla storia.

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