martedì 19 marzo 2024
Rappresenta un problema per il 90% dei giovani contro il 70% degli italiani. Formazione, rete e innovazione possono porre un rimedio. Il ritorno del personale sanitario. I consigli per fare impresa
Ancora troppi giovani fuggono all'estero

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Secondo i dati riportati dall’Aire-Anagrafe degli italiani all’estero, al 1° gennaio 2023 gli italiani iscritti e quindi residenti all’estero da oltre un anno, sono quasi sei milioni, oltre 127mila espatriati in più rispetto al 2021. A spostarsi sono soprattutto i giovani, intenzionati ad apprendere nuove competenze e crescere professionalmente: gli under 30 sono oltre 1,8 milioni, il 10,7% di quelli residenti in Italia, e provengono soprattutto dalle province del Sud Italia. I fenomeni migratori non riguardano solo l’estero: tra il 2012 e il 2021 circa un milione e 138mila ragazzi hanno lasciato la loro regione d’origine per trasferirsi al Centro-Nord, sia per motivi di studio che lavorativi, in cerca di condizioni migliori, soprattutto a livello economico. Un fenomeno storico noto, ma che ha un impatto sociale ed economico sempre più forte per lo sviluppo del Meridione.

Gli under 35 non hanno dubbi, andare all’estero è sempre meno una scelta e sempre più una necessità: la fuga dei cervelli rappresenta un problema per il 90% dei giovani contro il 70% degli italiani. I giovani incontrano sempre più difficoltà a trovare una occupazione, che è tra le cause principali della fuga di cervelli in altri Paesi, dove si cercano occasioni per dimostrare e veder riconosciuto il proprio talento e valore aggiunto. L’indagine - Giovani, innovazione e transizione digitale promosso da Angi Ricerche in collaborazione con Lab21.01 - ha esplorato le ragioni degli ostacoli: secondo il 64,7% degli under 35, contro il 49,7% del campione totale, lo scoglio principale è dovuto alla richiesta di un'esperienza minima che i giovani non hanno ancora avuto occasione di costruire. A seguire, la scarsa propensione delle aziende ad assumere (54,1% e 55,7%), ma anche l’idea per cui un laureato sia troppo qualificato, che rappresenta un fattore rilevante per il 38,9% degli under 35 ma solo per il 19,4% del totale degli intervistati. Tra le cause non mancano nemmeno la saturazione dei settori d’interesse (21,4% e 11,2%) e le offerte poco gratificanti (21,2% e 21,6%). Le giovani generazioni hanno percezioni abbastanza simili rispetto alle cause che determinano difficoltà nel trovare un’occupazione in Italia. Per gli under 35, infatti, le maggiori problematiche sono: scarsità di risorse per avviare un'attività o un'impresa (49,7%), turn over occupazionali bloccati (43,5%), poca attitudine all'innovazione e al rischio (32,4%), ma anche poca comunicazione tra domanda e offerta di lavoro (28,6%) e troppa burocrazia (26,2%). E anche se con percentuali leggermente minori le stesse cause sono identificate dal campione generale. Ad emergere invece è la considerazione del costo del lavoro che rappresenta un problema per quasi il 25% degli italiani ma per solo l’8% degli under 35. Le percentuali tornano ad allinearsi su un tema che ha creato molto dibattito in questi ultimi mesi, il costo troppo alto degli affitti, che impedisce un trasferimento nelle città sede di lavoro (16,8 e 18,6%). Il momento dell’ingresso nel mondo del lavoro, freschi di diploma o di laurea, è una delle fasi più critiche del percorso. A chi spetta gettare un ponte tra la formazione e le aziende? Per gli under 35, questo è prima di tutto compito delle università (53,7% degli under 35 contro 41,3% del campione totale) e dello Stato (51,7%), che viene invece al primo posto se si considera il totale degli intervistati (53,9%). Al terzo posto le aziende, per il 40,8% dei giovani e il 39,1% del totale. Possono giocare un ruolo importante però anche le strutture di coordinamento tra domanda e offerta (15,9% e 19,7%), le associazioni di categoria (6,3% e 11,6%) e gli enti locali (6,2% e 12,7%). Un fattore importante di sviluppo del mercato è quello dell’innovazione, che insieme alla sostenibilità rappresenta uno dei fronti principali per assicurare un futuro ai giovani e al paese. Dall’indagine emerge una forbice nella valutazione di quelli che sono i principali elementi d’innovazione di un’azienda: gli under 35 mettono al primo posto investimenti in strumenti, macchinari e tecnologie all'avanguardia (36,2% contro 25,7% del totale), e di seguito un gruppo dirigenziale giovane (28,7% vs 23,2%) e la conoscenza degli strumenti digitali (21,4%), diversamente dal campione generale che concorda solo per il 6,7%. Lo stesso divario si osserva rispetto all’apertura a nuove forme di commercio e di contatto col cliente finale, fondamentale per il 23,4% del totale ma appena per il 2,3% dei giovani. In maniera analoga, la capacità di usare in modo nuovo vecchi strumenti, macchinari e tecnologie è importante per l’8,1% del totale e solo per il 2,9% dei giovani lavoratori. Sono poi menzionati anche presenza sui social network e presenza di molti giovani tra i dipendenti.

Oltre alle agevolazioni anche formazione, rete e innovazione possono porre un rimedio

Non solo le agevolazioni fiscali previste da un decreto. Anche formazione, rete e innovazione possono porre un rimedio alla fuga dei cervelli all'estero. Per esempio Bending Spoons - azienda tecnologica diffusa in tutto il mondo - da anni lavora per contrastare il fenomeno. Tante le iniziative a favore dei/delle giovani appassionate/i di tech e informatica. A cominciare dalle call e selezioni che dedica per selezionare e premiare i migliori studenti e le migliori studentesse delle facoltà tech e informatiche. Costantemente vengono organizzati aperitivi aperti a studenti e studentesse in collaborazione con Politecnico di Milano; iniziative che hanno sempre avuto molto successo in termini di application (oltre 700 application per 80 posti). Il fine principale è il networking per tutti gli aperitivi, tra studenti con i medesimi interessi e con Bending Spoons. I feedback sono molto positivi da parte dei partecipanti.

I migliori, o parte di loro, attirati inesorabilmente all’estero da retribuzioni neanche comparabili con quelle italiane; altri che hanno compiuto scelte di diploma e quindi universitarie completamente svincolate dalla logica del mercato; quindi un largo substrato di giovani che hanno perso fiducia nella formazione professionale e nel lavoro traguardano obiettivi trendy che dovrebbero garantire guadagni facili e immediati. A denunciarlo, in un momento in cui i nuovi “mestieri” come quello degli influencer tengono banco, è Bureau Veritas, il più importante gruppo mondiale di controlli e certificazioni, che ha chiuso il 2023 con uno squilibrio sempre più evidente, fra domanda di addetti professionalmente formati e in grado di garantire gli alti standard qualitativi che sono caratteristica di Bvi-Bureau Veritas Italia in svariati settori specifici e un’offerta che tende costantemente a inaridirsi. Gli esempi in Bvi (gruppo che in Italia ha assunto l’anno scorso 165 nuovi addetti e vanta una occupazione globale che solo in Italia ha superato 1000 unità) si moltiplicano in particolare nel campo ingegneristico, con particolare riferimento al campo dell’ingegneria informatica e dell’ingegneria elettronica/elettrica/energetica.

Il ritorno del personale sanitario

A volte ritornano. Potremmo riassumere così un fenomeno che, sorprendentemente, sta prendendo piede in Italia e che riguarda sempre più medici italiani che, dopo aver lavorato all’estero, decidono di rientrare. «Non è una novità – spiega Giulia Ferrari, manager di Page Personnel (brand di PageGroup) – che i medici italiani scelgono di lasciare il nostro paese per trovare, nelle strutture ospedaliere al di fuori dei nostri confini, condizioni economiche e di bilanciamento vita professionale – vita privata migliori. Ma c’è un rovescio della medaglia che, in modo sempre più deciso, abbiamo iniziato a notare durante la pandemia e che non accenna a diminuire, anzi. Sono cresciute del 10%, infatti, le richieste di medici che, dopo aver lavorato all’estero, hanno iniziato a considerare anche offerte provenienti dalle strutture del nostro paese. Una cosa quasi impensabile soltanto 2-3 anni fa ma che ora, grazie agli sgravi fiscali per il rientro dei cervelli che rende le retribuzioni italiane più competitive ed interessanti, è diventata un’opportunità concreta».

La fuga dei medici dai nostri ospedali è, purtroppo, un dato di fatto ma qualcosa sta cambiando. I professionisti di talento sono sempre più consapevoli del proprio valore e possono contare su un mercato più dinamico e agile. Questo porta le strutture private a ripensare le proprie strategie di attraction e in particolare quelle retributive. Oggi, infatti, sono maggiormente disposte a ritoccare verso l’alto le retribuzioni, anche del 30%, per attrarre i talenti all’interno del proprio organico, a discapito degli ospedali esteri considerati attrattivi per retribuzioni più alte e opportunità di crescita professionale che, però, oggi sono possibili anche in Italia. Recentemente, per esempio, un cardiologo che da oltre dieci anni esercitava in Spagna – nonostante percepisse un’ottima retribuzione – ha accettato il trasferimento in Italia in una rinomata struttura ospedaliera all’avanguardia in Piemonte a seguito di incremento economico del 5%, offerta d’alloggio e sgravio fiscale pro rientro dei cervelli.

«In questo momento – aggiunge Ferrari – la maggior parte delle richieste arriva dalle realtà riabilitative. Poiché, infatti, negli ospedali pubblici le lungo-degenze sono ormai quasi nulle, si cercano posti letto in quelle strutture accreditate che, ovviamente, necessitano di medici per seguire i pazienti nelle fasi post operatorie. C’è, in particolare, notevole carenza di fisiatri e geriatri, ma non mancano anche occasioni per anestesisti e neurologi. Come dicevamo, le retribuzioni sono molto interessanti: spaziano dai 60mila euro agli 80.000 euro annui andando via via allineandosi alle retribuzioni degli ospedali pubblici».

«Gli incentivi fiscali già previsti per i nostri ricercatori e per le nostre eccellenze della scienza e della medicina che lavorano all'estero, allo scopo di riportarli legittimamente nel nostro Paese, secondo Schillaci vanno doverosamente estesi ai medici italiani all'estero. Ora, senza nulla togliere al valore che le centinaia di valenti camici bianchi sparsi per il mondo possono apportare al nostro Ssn, elevando indiscutibilmente anche i livelli qualitativi delle nostre equipe sanitarie, ancora una volta il ministro dimentica di citare gli infermieri e tutti gli altri professionisti dell'assistenza». Così Antonio De Palma, presidente nazionale del Nursing Up.

«L'estensione degli incentivi fiscali, previsti per cervelli in fuga che ritornano a lavorare e a vivere in Italia, va quindi secondo noi allargata doverosamente anche agli infermieri ed agli altri professionisti sanitari che hanno deciso di lasciare il nostro Paese, e non sono certo pochi, con una media di 3mila-3.500 all'anno, lo dicono report autorevoli, sui quali basiamo le nostre denunce.

Questa è la strada giusta per affrontare la grave crisi della carenza di organici nella sanità, visto che, sia chiaro una volta per tutti, non sono certo i medici a mancare strutturalmente in Italia», conclude De Palma.

I consigli per fare impresa

L’Italia è da decenni caratterizzata da un flusso costante di laureati, ricercatori e lavoratori che espatriano per via di un mercato del lavoro stagnante, trasferendosi nelle grandi capitali internazionali ad alto tasso di innovazione come Londra, Berlino o Parigi alla ricerca di occasioni di crescita professionale. La pandemia però è stata per molti la spinta necessaria a tornare a casa o comunque un motivo per riavvicinarsi alla propria città natale. Francesco Zaccariello, che in seguito alla exit di eFarma, nel 2021, ha iniziato un percorso come investitore in diverse startup, tra cui Unobravo, è entrato a far parte del Club degli investitori ed è mentor di alcune start up di successo, spiega ai giovani che vogliono fare impresa al Sud quali sono i passi da compiere per evitare errori e affermarsi sul mercato:

- Per prima cosa non innamorarsi solo dell’idea. Ricevo decine di mail a settimana di ragazzi che hanno idee meravigliose ma progetti poco chiari per poi metterle in pratica. Non si può fare impresa solo basandosi sulla bontà della propria idea, bisogna prima di tutto creare un business plan con delle proiezioni finanziarie che ne dimostrino la sostenibilità, i tempi di breakeven, e che riporti un accurato studio del mercato.

- Studiare il mercato. Questo è un punto centrale. È necessario individuare un target di riferimento a cui è destinata la nostra idea e capire come questa sarà accolta, se ci sono altri competitor e come il nostro business si posiziona rispetto ad altre realtà. Avere chiari gli elementi che differenziano dai competitor è necessario per poi impostare una comunicazione coerente ed identificare una strategia di marketing adeguata. Ricordo che all’inizio, a pochi mesi dalla nascita di eFarma con il mio team, facemmo l’errore di trasferire all’interno dell’e-Commerce i prodotti più venduti in farmacia, senza considerare che all’epoca non avremmo potuto reggere la concorrenza con il negozio fisico. Ci accorgemmo però abbastanza rapidamente che questa strategia non funzionava, per cui decidemmo di puntare sui farmaci meno reperibili che avrebbero garantito una marginalità più ampia. Questi sono errori che accadono, soprattutto quando esplori un mercato ancora poco battuto: l’importante è accorgersi per tempo e invertire la rotta.

- Individuare una nicchia scoperta. Per chi vuole avviare un business online è una delle chiavi principali per avere successo. Avere la pretesa di rivolgersi a tutti indistintamente è rischioso, non ti permette di mettere a fuoco bene il business e spesso richiede investimenti economici troppo grossi. Meglio concentrarsi su un target specifico, conoscerlo bene e offrire un servizio eccellente per quel target. Poi, in un secondo momento, si può decidere di ampliare il proprio orizzonte e scalare, magari guardando anche all’estero.

- Fare bootstrapping. Almeno nel primo periodo di creazione della propria impresa è necessario cercare di rendere il proprio business sostenibile senza l’intervento di capitali esterni. La ricerca di investitori e di fondi deve avvenire nel momento in cui si ha già una posizione sul mercato e un fatturato significativo. Questo è stato anche il mio percorso: inizialmente sono partito con un budget minimo, mi sono mosso con cautela, un passo alla volta e solo quando raggiunsi un fatturato di 10 milioni iniziai a bussare le porte di aziende del settore, fondi di investimento, private equity, business angels. Ricevetti diversi no e tante proposte irrisorie, poi finalmente chiudemmo il primo round da 4 milioni guidato dalla Holding Finbeauty.

- Creare un team in cui ogni talento possa portare valore dalle sue esperienze precedenti e creare per loro delle condizioni tali che li motivino a tornare al Sud o rimanervi. Le imprese del Sud devono essere in grado di reggere la concorrenza con le digital company basate a Milano e nel nord Italia per attrarre e trattenere talenti. La sede di Atida a Napoli ad esempio è stata pensata per essere un luogo accogliente per i nostri dipendenti: gli uffici si affacciano sul mare e chiunque in pausa pranzo può fare due passi e rilassarsi in spiaggia.

I commenti degli esperti sul nuovo decreto

Per chi assume italiani residenti all'estero è prevista una riduzione della base imponibile Irpef, che passa dal 70% al 50%, calcolabile su un reddito non superiore a 600mila annui. Viene anche eliminata la detassazione al 90%, prevista per i casi di trasferimento di residenza nelle regioni del Sud d’Italia, che viene equiparato ora alle altre zone dello Stivale. C'è la riduzione dell'aliquota per i cosiddetti lavoratori impatriati, che passa dal 30% al 10% per i primi cinque anni di residenza in Italia, dal momento del rientro in avanti. C'è l'esenzione per i redditi esteri da lavoro dipendente, fino a 120mila euro. Per accedere alle agevolazioni, il richiedente deve aver vissuto all'estero nei tre anni precedenti alla domanda. Gli anni diventano sei, o sette, nel caso dei lavoratori che rientrano con un trasferimento infragruppo. Per loro è previsto l'accesso ai benefici fiscali, a patto che siano rimasti all'estero per un lasso di tempo pari a sei periodi di imposta; sette, nel caso in cui siano stati impiegati, in Italia, dallo stesso datore di lavoro, o dallo stesso gruppo. Per chi ritorna in Italia, e ha almeno un figlio minorenne, l'agevolazione fiscale sale al 60%, anche in caso di adozione o genitorialità sopravvenuta durante il periodo di effettiva fruizione del regime introdotto per gli impatriati. Un altro requisito è l'impegno da parte del richiedente a trasferirsi in Italia per un periodo maggiore o uguale a quattro anni fiscali. Inoltre, l'attività lavorativa dovrà essere svolta principalmente sul territorio italiano e i singoli lavoratori dovranno possedere i requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.

Questo decreto sembra quindi rappresentare un passo in avanti, sia per gli italiani che attualmente lavorano all'estero, sia per gli stranieri che vorrebbero svolgere la loro attività imprenditoriale in Italia. Le novità introdotte, infatti, almeno a livello teorico, dovrebbero rendere il sistema fiscale italiano più competitivo, in modo da attirare un fenomeno di immigrazione di alto profilo, favorendo così l'arrivo di talenti dall'estero, e ribaltando il problema della cosiddetta "fuga di cervelli", ma non solo, in quanto il nuovo provvedimento vuole promuovere anche il fenomeno del reshoring, relativo alle aziende disposte a tornare a investire in Italia. L'ipotesi di un impatto positivo è confermata da Barbara Pizzoni, socio dello studio legale Ughi e Nunziante, che promuove il decreto, pur evidenziandone una criticità: «Negli ultimi anni, l’Italia ha adottato politiche fiscali che hanno reso il Paese un luogo attrattivo per talenti e capitali esteri. Con misure destinate a diverse tipologie di soggetti, i vari regimi di favore hanno determinato un crescente afflusso in grado di contrastare alcune debolezze strutturali che negli anni hanno determinato piuttosto un deflusso di risorse qualificate (livello delle remunerazioni, complessità della burocrazia eccetera)».

Paolo Borghi, partner dello studio di commercialisti Moore Professionisti Associati, commenta invece così le novità introdotte: «Attrarre figure professionali altamente specializzate è una delle leve dello sviluppo sociale ed economico di un paese. Per questo l’Europa si è già da tempo ormai attivata per legiferare norme fiscali tese a favorire l’attrazione di queste competenze che possono contribuire alla crescita delle aziende e alla loro competitività sul mercato. Un impatto positivo che va oltre alla semplice attrazione dei talenti ma che vuole anche stimolare il mercato del lavoro, migliorare la produttività e che può avere ricadute sulla crescita degli investimenti, in primis immobiliare, e la richiesta di servizi di alto livello».

Tuttavia c'è il timore che alcune delle novità introdotte possano in qualche modo disincentivare il rimpatrio. Come osserva Monica Rota, partner di Nexus Avvocati e Commercialisti: «Dal nostro osservatorio, fornendo assistenza, negli anni interessati dalla previgente normativa, a numerosi lavoratori che hanno sfruttato tale agevolazione, possiamo dire che è prevedibile che la significativa riduzione del vantaggio fiscale, unitamente alla valutazione dei più bassi stipendi generalmente riconosciuti in Italia a parità di mansione rispetto che all’estero, possa disincentivare il rimpatrio».

Vantaggi e svantaggi sono quindi da valutare attentamente. Entrando nello specifico, è utile riprendere quanto sostiene Luigi Birtolo, Managing Director di People Spa: «La percentuale di non imponibilità dei redditi diventa del 60% per il lavoratore impatriato che si trasferisce in Italia con un figlio minore che resti in Italia; vedesse la nascita di un figlio ovvero provvedesse all’adozione di un soggetto minorenne (che permanga in Italia) durante il periodo di fruizione del regime, in questo caso fruirebbe del maggior beneficio fiscale a partire dal periodo d’imposta in corso, al momento della nascita o dell’adozione e per il residuo periodo agevolabile». In conclusione, i margini per un impatto positivo ci sono e i lavoratori che decideranno di ritornare in Italia, se in possesso dei requisiti necessari, avranno la possibilità di accedere alle agevolazioni previste.

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