mercoledì 11 luglio 2012
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Due euro e cinquanta, tre euro al massimo, dai quali va sottratta una non meglio specificata percentuale per «servizi resi». È la paga oraria che in molte aree del Paese viene elargita ai migranti irregolari impiegati da spregiudicati datori di lavoro. Nella raccolta dei pomodori (Puglia e Basilicata) per esempio, o in quella degli agrumi (Sicilia). È questo il caporalato, una efficace forma di vessazione e di ricatto – visto che sui migranti che "vivono" in condizioni inumane, pende la minaccia di espulsione –; fuori dai denti, il moderno volto della schiavitù. Che coinvolge, nel nostro Paese, circa 80mila lavoratori stagionali in nero, in balia della criminalità organizzata.Dalla scorsa settimana, per effetto di un decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri, il caporalato è reato. Una norma prevede persino che i lavoratori che denunciano gli imprenditori disonesti siano premiati con il permesso di soggiorno. «Era un provvedimento atteso e necessario – spiega Oliviero Forti, responsabile immigrati della Caritas italiana – a fronte di una piaga che però riguarda molti settori dell’economia illegale del Paese. È inderogabile far emergere il sommerso e colpire i vasti traffici che, nel Centrosud e nelle isole, ma non solo, risultano in mano a organizzazioni che si avvalgono di caporali». I quali, non di rado, hanno nazionalità straniera. «Può sembrare paradossale, ma ci sono caporali che si prestano ad avviare a forme paraschiavistiche i loro stessi connazionali», aggiunge Forti. Lo fanno senza scrupoli in un ambiente in cui alle vittime non è consentito ribellarsi.«La gravità della situazione – incalza il dirigente Caritas che annuncia, per il prossimo anno, una serie di iniziative sullo sfruttamento nei luoghi di lavoro – è facilmente immaginabile se ricordiamo che ci sono stati lavoratori irregolari che hanno pagato con la vita le denunce. Mi riferisco ad episodi accaduti in Puglia e alle ormai note rivolte di Castel Volturno (Caserta)». Insomma, «non è certo un mistero quanto accade in tante aree nel Paese. Basta andare a fare un giro, fino a novembre, nelle zone di raccolta agricola del Centrosud per rendersene conto». Ecco perché sul decreto approvato dal governo, la Caritas «è sempre stata favorevole, perché va colpita ogni forma di intermediazione illegale».In realtà, l’articolo 18 prevedeva già delle tutele. «Ma non era sufficiente – sostiene Forti –, non offriva coperture adeguate e veniva utilizzato soprattutto nell’ambito dell’odiosa tratta sessuale. Nel caso del caporalato le persone sfruttate non sempre sono vittime di tratta, spesso entrano regolarmente ma poi, per campare, sono costrette a vivere in questo modo».Non crede, Oliviero Forti, all’«effetto richiamo» che il decreto potrebbe avere su altri migranti: «Chi afferma che questo provvedimento, in momenti di crisi, può essere un elemento di attrazione per altri immigrati sbaglia – risponde – perché la misura riguarda il quadro attuale e cioè chi è già soggiornante nel Paese; inoltre, coloro che prevedono di entrare nel nostro Paese avvalendosi di questo decreto non avrebbero neanche il tempo di farlo perché i termini sono molto stretti, si parla di 30 giorni». Anche di questi temi si discute al tavolo interministeriale sulle politiche migratorie voluto dal ministro della Cooperazione internazionale e l’integrazione, Andrea Riccardi, cui prendono parte anche il ministero del Lavoro e quello degli Interni, oltre a numerose realtà che si occupano di politiche migratorie. Una concertazione che sta producendo effetti.
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