sabato 2 aprile 2022
Solo lo 0,2% del Pil è destinato ai servizi e alle misure di attivazione per i disoccupati. Le buone pratiche: "Yes I Start Up", Amplifon, Galdus
Sebastiano Fadda, presidente dell'Inapp

Sebastiano Fadda, presidente dell'Inapp - Archivio

COMMENTA E CONDIVIDI

La spesa per le prestazioni sociali nel nostro Paese è strutturalmente elevata. Secondo l’ultimo dato Eurostat disponibile (2019), si attesta al di sopra della media europea (28,3% del Pil contro il 26,9%). Per contro, solo lo 0,2% del Pil è destinato ai servizi e alle misure di attivazione per i disoccupati. Si investe ancora poco nella formazione finalizzata all'inserimento lavorativo dei giovani, degli inattivi, dei disoccupati e delle donne. Molto al di sotto del livello di altri Paesi che prima e di più hanno ricalibrato il proprio sistema di welfare allineandolo con la nuova Agenda Sociale Europea. Nello stesso anno, 2019, la spesa passiva (“vecchiaia e superstiti”) assorbiva percentuali rilevanti del Pil (oltre il 16%). E la situazione rischia di aggravarsi con la crescita delle nuove forme di lavoro, sempre più discontinue e povere. È quanto è emerso nel corso del convegno Lavoro, welfare e sicurezza sociale: le nuove sfide organizzato dall’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), che ha presentato i risultati di due rapporti di ricerca frutto, rispettivamente, di una convenzione con l’Università Luiss Guido Carli – Sep e del progetto europeo Mospi. «Prevale un generale orientamento verso i trasferimenti monetari e per lo più di natura previdenziale. Per molti aspetti l’Italia sembra un Paese che resta indietro anche rispetto alla nuova agenda di investimento sociale dettata a livello europeo – ha affermato Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp –. Da questa linea non si discostano le trasformazioni che negli ultimi anni hanno dato luogo a interventi di grande rilievo, a cominciare dal contrasto della povertà. L’introduzione prima del Rei e poi soprattutto del reddito di cittadinanza ha comunque rappresentato una indubbia novità rispetto al sentiero istituzionale del welfare italiano, essendo stata introdotta per la prima volta una misura nazionale di contrasto alla povertà di dimensioni paragonabili a quelle dei principali paesi europei. Si riscontra, tuttavia, ancora molta strada da fare per modificare una traiettoria storico-istituzionale consolidata: occorre una spinta più decisa alla ricomposizione della spesa sociale a favore dei servizi (scuola e formazione, sanità, servizi di cura e di assistenza, politiche attive del lavoro) per un accesso universale alla protezione sociale e una diminuzione delle diseguaglianze. Inoltre, la presenza di diffuse condizioni occupazionali discontinue e a bassa retribuzione da un lato pone un serio problema di natura previdenziale per un sistema pensionistico a contribuzione e dall’altro manifesta l’esigenza di garantire una soglia minima di retribuzione al di sotto della quale per nessun lavoratore sia consentito scendere». Sul fronte del mercato del lavoro questo si traduce in una bassa partecipazione femminile e un basso livello dell’occupazione a più alto valore aggiunto. E rischia di pesare ancor di più, non solo in prospettiva, la crescita del cosiddetto lavoro "fragile", ovvero di un’occupazione più insicura e mal retribuita, con lavoratori sempre più vulnerabili ai cambiamenti della loro condizione occupazionale e del loro reddito. Già prima della pandemia, nel 2019, le assunzioni a tempo determinato dalla durata inferiore a una settimana rappresentavano circa il 29% delle assunzioni a tempo determinato totali. I contratti dalla durata compresa tra una settimana e un mese, sebbene inferiori in valore assoluto, sono in aumento: da circa 50mila a più di 80mila. L’attivazione di contratti di lavoro con una durata fino a sei mesi è tornata a crescere in maniera più evidente a partire dalla seconda metà del 2016. Molto spesso lavoratore fragile vuol dire anche lavoratore povero. Il rischio di diventarlo dipende fortemente dal tipo di contratto: è circa il doppio per i lavori part-time (15,8%) rispetto a quelli a tempo pieno (7,8%) e quasi tre volte superiore per i lavoratori con un lavoro temporaneo (16,2%) rispetto a quelli con contratti permanenti (5,8%). Allo stesso modo, i contratti dalla durata inferiore a un anno sono ampiamente diffusi (18,3%) tra i lavoratori poveri, molto più di quelli con un anno o più di durata (9,1%).

Formazione e buone pratiche

La forza e il successo di Yes I Start Up - selezionata come buona pratica dal Comitato di sorveglianza Pon Iog e inserita dall’Ocse come caso di studio all’interno delle buone pratiche europee - è dimostrata dai dati. L’iniziativa - fino ai primi mesi dell’anno scorso - era rivolta soltanto ai Neet (i tanti giovani che non studiano e non lavorano) e grazie agli ottimi risultati dal 2021 è stata estesa anche a due nuove categorie: donne inattive e disoccupati di lunga durata (anche over 50), con riscontri davvero notevoli. Infatti, il progetto ha centrato proprio in quest’ultimo mese - con nove mesi di anticipo rispetto alla data fissata al 31 dicembre 2022 - l’obiettivo di formare all’autoimprenditorialità 1.000 profili, tra donne inattive e disoccupati di lunga durata. Tra i beneficiari di questo programma figurano prevalentemente donne inattive (47,4%), seguite da donne (32,4%) e uomini (21,2%) disoccupati di lunga durata; la maggioranza di loro è italiana (94%), ha meno di 50 anni (fascia che occupa il 20% degli interessati), possiede un diploma di scuola secondaria, mentre il 10% ha conseguito una laurea specialistica e l’8% triennale. Il 36% dichiara di non avere nessuna esperienza lavorativa, o di aver lavorato con contratti a tempo determinato (27,4%, indeterminato 13,3%). Quanto alla provenienza geografica, figurano in testa Campania, Sicilia, Puglia e Lazio. Molti dei partecipanti hanno già in mente come costituire un’impresa: prevalentemente, nei settori del commercio, alloggio, ristorazione e servizi, nella forma giuridica individuale, con agevolazioni da richiedere tramite microcredito e piccoli prestiti. Ottimi i riscontri anche per la formazione dei Neet, che nel biennio 2019-2020 ha raggiunto oltre 1.700 giovani, e con la nuova edizione - avviata a maggio 2021 – altri circa 400 con l’obiettivo di arrivare a fine anno 2022 a circa 1200. Si tratta di uomini (51%) e donne (49%), quasi tutti italiani e per lo più sopra i 20 anni. Anche in questo caso, la Campania si conferma la Regione che registra la più alta provenienza. La metà di questi ragazzi ha un diploma di scuola secondaria e il 5% una laurea, sia triennale sia specialistica. Adesso rimane attivo il fondo SELFIEmploymente per i tre target, mentre Yes I Start Up torna a concentrarsi al momento solo sui Neet, dato il raggiungimento degli obiettivi fissati per donne e disoccupati di lunga durata. «Il possesso di un titolo di studio più elevato è mediamente associato a vantaggi significativi non soltanto sul fronte dell'occupazione - come per esempio trovare un primo impiego al termine degli studi - ma anche dal punto di vista retributivo - ha affermato il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo -. Per rafforzare la partecipazione dei giovani al mercato del lavoro e i loro livelli di occupazione bisogna dunque partire da qui, da un investimento forte in formazione. E la riflessione vale in particolare per un Paese, come il nostro, dove oltre due milioni di giovani, pari al 23% dei ragazzi e delle ragazze di età compresa tra i 15 e i 29 anni, non è inserito in un percorso scolastico o formativo e neppure ha un impiego; sono i famosi giovani Neet, che nelle regioni del Sud arrivano a superare il 32%». Formazione gratuita per creare impresa e supportare i Neet che vogliono diventare startupper: ecco la formula innovativa che ha già ottenuto risultati brillanti. «A tre anni dalla prima sperimentazione, Yes I Start Up è diventato un modello strutturato capace di accompagnare e formare giovani e donne a diventare imprenditori e imprenditrici - ha sottolineato il capo progetto per l'Ente nazionale per il microcredito Nicola Patrizi -. Il progetto ha permeato tutto il territorio italiano, dalla grande città sino alle aree interne, grazie alla comunità partenariale aperta che ha contribuito in maniera determinante a creare nuovi imprenditori».

Un’iniziativa concreta per favorire la formazione e l’inserimento professionale dei giovani nel settore delle professioni dell’udito: Amplifon Italia lancia Una laurea con Amplifon, il progetto per finanziare 15 borse di studio a copertura totale delle tasse universitarie dedicato ai giovani diplomati/e che vorranno intraprendere il percorso di laurea triennale in Tecniche audioprotesiche a partire dall’anno accademico 2022/2023. Amplifon coprirà i costi dell’iscrizione al test d’ingresso e dei materiali necessari alla preparazione per tutti coloro che faranno richiesta. Inoltre, l’azienda sosterrà per i 15 studenti/esse selezionati le spese di iscrizione universitarie, erogando anche un contributo di 500 euro mensili per tutta la durata del triennio. Il mestiere dell’Audioprotesista richiede un titolo abilitante universitario che si ottiene con tre anni di studio e un tirocinio e costituisce un’ottima opportunità per coloro che si affacciano al mondo del lavoro. Infatti, il 79,2% dei laureati in Tecniche Audioprotesiche nel 2019 ha trovato un impiego entro il primo anno dalla laurea. La professionalità di queste figure sanitarie, che dal 2018 sono riconosciute da un Albo nazionale, è fondamentale per garantire un servizio capillare e personalizzato ai clienti di Amplifon che, nel 2021, ha inserito nel suo organico oltre 160 nuovi audioprotesisti solamente in Italia. La presentazione della domanda di partecipazione al programma Una laurea con Amplifon, affiancata da una lettera motivazionale, andrà effettuata entro il 30 giugno 2022. In seguito al test d’ingresso, a settembre 2022, chi supererà la prova sosterrà un colloquio motivazionale con il team HR di Amplifon Italia. Al termine della selezione, Amplifon assegnerà le borse di studio agli studenti più meritevoli. Le domande per accedere a Una laurea con Amplifon possono essere presentate al seguente indirizzo: https://lp.amplifon.com/it/una-laurea-con-amplifon.

Il corso Ifts di amministrazione di impresa 4.0 di Galdus, ente di formazione professionale con sede principale a Milano, ha aperto le porte del lavoro a 13 giovani allievi che a febbraio hanno iniziato il proprio percorso formativo e lavorativo con un contratto di apprendistato presso aziende e studi professionali a Milano. I percorsi Ifts sono percorsi didattici post diploma della durata di un anno (1.000 ore) ad alta specializzazione tecnologica e che permettono di conseguire un titolo di studio di IV livello europeo. Le realtà che nel mese di gennaio hanno aderito al progetto connesso al corso Tecniche per la contabilità, l’amministrazione e il controllo di gestione di imprese 4.0 hanno così avuto la possibilità di inserire in organico giovani diplomati per formare le nuove figure professionali nel modo più corrispondente alle proprie esigenze. Umana, Agenzia per il lavoro e partner tecnico di progetto, che ha assunto formalmente gli studenti, ha supportato Galdus in tutte le fasi di realizzazione di questo percorso in particolar modo assicurando il giusto matching con le aziende. Al momento dell’inserimento gli allievi hanno una preparazione di base che gli consente di essere operativi fin da subito, avendo già svolto 240 ore di formazione tecnica in contabilità generale e bilancio, informatica per l’amministrazione di impresa e comunicazione con i fornitori e clienti; durante il periodo in azienda, completeranno il proprio percorso con ulteriori 160 ore di formazione didattica che approfondiranno aspetti fiscali e tributari, controllo di gestione e digitalizzazione di impresa. Galdus realizza percorsi Ifts di specializzazione nei settori alta pasticceria e cioccolateria, oreficeria, information technology, amministrazione di impresa, food&beverage.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: