domenica 16 gennaio 2011
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Vincitori e vinti, dignità contro paura, gli operai versus gli impiegati. La nebbia non si è ancora alzata ai cancelli di Mirafiori, che già la lettura del risultato del referendum ripropone la divisione dei lavoratori e non permette di compiere quei passi avanti che invece sono necessari.Le diverse analisi appaiono legittime, ma rischiano di far nuovamente avvitare il dibattito. È vero, i «no» sono stati numericamente superiori alle attese e alla rappresentanza delle tute blu Cgil e Cobas. Considerando il solo voto operaio, i «sì» hanno prevalso per appena 9 schede. Così che la Fiom oggi parla di una sorta di "vittoria morale", di allargamento della sua area di consenso, rivendicando la riapertura della trattativa. Sull’altro fronte si obietta che da 15 anni a Mirafiori nessun referendum aveva mai visto la vittoria dei «sì», che molti «no» sono stati dettati solo da insoddisfazione e rabbia, contando sul fatto che comunque i «sì» avrebbero vinto assicurando il futuro. Soprattutto, si fa notare, la maggioranza dei lavoratori ha detto chiaro che vuole lavorare. Anche se in frabbrica non ci dovesse "essere" la Fiom, che ha collezionato l’ennesima sconfitta dopo tre contratti nazionali dei metalmeccanici non firmati e applicati ugualmente, una riforma della contrattazione portata a termine senza il suo contributo e due referendum che hanno confermato le intese separate a Pomigliano e, appunto, a Mirafiori.Ora il primo passo da compiere – in particolare per la Fiom – sarebbe quello di sciogliere le ambiguità, riconoscendo il referendum e il suo esito. I lavoratori si sono espressi e, a maggioranza, il nuovo contratto firmato da Fim, Uilm, Fismic e Ugl è stato approvato. Dunque è valido ed è grazie a questo che da oggi si può sollecitare la Fiat a tenere fede all’impegno di investire 1 miliardo a Torino, si può chiedere conto a Marchionne dei ritardi sui nuovi modelli e delle strategie del gruppo, potendo contare con maggiore realismo sulla tenuta dell’occupazione e la crescita dei salari. Il diritto al dissenso esiste sempre, ma una volta che si sono espressi i lavoratori sarebbe antidemocratico – oltre che controproducente – cercare di far saltare l’accordo, di sovvertire la volontà della maggioranza degli stessi lavoratori. Libera la Fiom di scioperare il 28 gennaio, di manifestare con forza la propria contrarietà (a riprova che nessuna limitazione è stata posta al diritto dei lavoratori di protestare). Ciò che andrebbe scongiurato, però, è il boicottaggio, lo scatenare una "guerriglia" stabilimento per stabilimento, per conseguire con altri mezzi ciò che non si è riusciti a conquistare con il voto dei lavoratori.Un importante passo in avanti, invece. è stato compiuto. Cisl, Uil e la maggioranza dei dipendenti si sono assunti una responsabilità precisa: accettare la sfida del cambiamento per far crescere la produttività del lavoro e non far declinare il Paese. Per farlo hanno rinunciato alle tentazioni antagonistiche, hanno valutato che la propria tutela non sta in un contratto nazionale rigidamente osservato, ma in una nuova alleanza tra lavoratori e azienda, un’azienda chiamata a sua volta a una responsabilità ancora maggiore. Da domani occorre impostare il passo successivo e insieme far avanzare le relazioni industriali, nel gruppo Fiat come dappertutto, verso una maggiore partecipazione. Ci sono i tempi e gli spazi perché anche la Cgil – come d’altronde è già avvenuto in molte altre categorie di lavoratori – sia della partita. È auspicabile, ed è la sfida più importante che attende Susanna Camusso.Qualcuno ha notato nei giorni scorsi come questa vertenza rappresenti il paradigma di un cambiamento (negativo) negli equilibri tra capitale e lavoro. In realtà, il cambio nei rapporti di forza è milioni di volte più ampio del piccolo caso Fiat e muove dalla (inarrestabile) globalizzazione. In Italia possiamo scegliere se tentare di nuotare contro corrente, affidandoci ai vecchi strumenti conflittuali del Novecento, o cercare di attrezzarci per cavalcare l’onda. Senza limitarsi a subirla, progettando una nuova democrazia economica.
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