martedì 26 gennaio 2010
Il provvedimento, che inizierà il 22 febbraio, a causa della drastica diminuzione degli ordini a gennaio. Coinvolti gli stabilimenti di Mirafiori, Melfi, Termini Imerese, Pomigliano, Cassino e Sevel Val di Sangro.
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Tutto chiuso per due settimane. Dal 22 febbraio al 7 marzo le fabbriche italiane di Fiat – Mirafiori, Melfi, Termini Imerese, Pomigliano, Cassino e Val di Sangro – spegneranno gli impianti e i 30mila operai del gruppo andranno in cassa integrazione. Colpa, spiega l’azienda, di un gennaio terribile: gli ordini sono precipitati «a un livello ancora più basso di quello registrato a gennaio dell’anno scorso, quando il mercato era in grave crisi».Sarà l’effetto incentivi al contrario: con la fine delle agevolazioni gli italiani hanno smesso di comprare, e chi vuole procurarsi una macchina adesso aspetta i nuovi aiuti pubblici a cui sta lavorando il governo. L’Unrae, che associa le case automobilistiche straniere, calcola una diminuzione degli ordini del 7%. I sindacati sono sorpresi e arrabbiati. «Non ce lo aspettavamo» ammette Eros Panicali della Uilm, «è un segnale molto grave» sullo stato di salute dell’industria dell’auto, aggiunge Roberto Di Maulo della Fismic chiedendo che il governo si sbrighi con gli incentivi, «è una decisione politica» sbotta un infuriato Giorgio Airaudo della Fiom. Anche il governo è rimasto spiazzato. «È una decisione a freddo che interrompe in qualche modo il filo del dialogo sociale» ha commentato il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. La Borsa si è fatta l’immagine di un’azienda in difficoltà: sono andate avanti le vendite iniziate lunedì dopo la presentazione dei conti, il titolo ha perso un altro 0,79% scendendo a 9,46 euro.Nelle fabbriche Fiat del Sud intanto la protesta sta degenerando. A Termini Imerese ma anche a Pomigliano D’Arco. Nello stabilimento napoletano 38 ex lavoratori della Fiat a cui non è stato rinnovato il contratto a fine anno stanno occupando la sala consiliare del Municipio da due mesi. Ieri sono saliti sul tetto del palazzo, lì hanno acceso un fuoco e minacciato di buttarvisi dentro. Poi sono scesi, e sono andati ad occupare l’ufficio del sindaco Antonio Della Ratta, che ha promesso loro un incontro con il prefetto. Dopodiché sono andati a manifestare per le strade della città campana. Considerato che a marzo scadranno altri 55 contratti, la protesta della fabbrica napoletana – dove l’azienda ha promesso che sposterà la produzione della Panda (oggi in Polonia) dal 2011 – è destinata ad allargarsi ulteriormente.Nel frattempo a Termini Imerese gli operai della Delivery Mail – azienda dell’indotto che si occupava della pulizia dei cassoni –, quelli che da una settimana protestano dal tetto della fabbrica palermitana di Fiat, chiedendo il rinnovo del contratto scaduto, hanno chiamato i parenti che hanno bloccato i cancelli dello stabilimento. Risultato: i Tir che portavano i pezzi per costruire le macchine non sono potuti entrare, la produzione si è fermata.La chiusura delle fabbriche annunciata ieri non può che inasprire gli animi. Soprattutto perché lunedì, presentando i conti (nel 2009 l’azienda ha perso 800 milioni di euro) l’amministratore delegato Sergio Marchionne ha annunciato che l’azienda pagherà il dividendo agli azionisti. Staccare la cedola, una decisione che rende ovviamente «lieto» Gianluigi Gabetti, il presidente onorario di Exor, la finanziaria degli Agnelli destinata a incassare 67 milioni di euro, ma sembra «uno schiaffo ai lavoratori» agli occhi della Fiom. Si chiarirà anche questo, probabilmente, venerdì, il giorno in cui l’ad Sergio Marchionne e i sindacati torneranno al ministero dello Sviluppo economico per discutere col ministro Claudio Scajola di quello che sta succedendo attorno alla più grande impresa industriale del Paese.
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