sabato 14 ottobre 2017
A Bergamo i ministri dell'Agricoltura dei sette Paesi «grandi». L'intervento del segretario della Cei, Galantino: il cibo non sia solo una merce
Una famiglia del Malawi con la sua razione di mais per tre giorni (Ansa)

Una famiglia del Malawi con la sua razione di mais per tre giorni (Ansa)

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«La principale causa di fame oggi sono i conflitti: possiamo fermarli se c’è la volontà di farlo. Possiamo essere la prima generazione del mondo a fame zero». Graziano Da Silva, direttore generale della Fao, infonde entusiasmo a un G7 che ha di fronte a sé la sfida più difficile. Si concluderà domenica ed è iniziato sabato a Bergamo, con la conferenza su «Obiettivo: fame zero». Quattordici le bilaterali in programma; anche il primo incontro in Europa tra il ministro statunitense all’Agricoltura Sonny Perdue e il Commissario europeo Phil Hogan. «Bisogna che i sette Grandi riconfermino le loro responsabilità per raggiungere l’obiettivo fame zero» ha sintetizzato il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, mostrando un grande ottimismo.

Prima di lui, alla conferenza pubblica, il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, aveva richiamato i Grandi alle loro responsabilità , senza fare nessuno sconto: «Mi permetto di ricordare ai ministri che la "real politik", quando fa bene il suo mestiere, non è mai separata da un’alta valenza etica e da un orizzonte che comprende sempre l’interesse dell’altro. Anche di chi è stato il tuo persecutore, anche di chi oggi non può capire…». Monsignor Galantino ha evitato ogni accento solenne per parlare da «uomo del Sud, proveniente da una terra a prevalente vocazione agricola». E chiedere di andare oltre i calcoli politici per adottare un nuovo modello di sviluppo, che salvi 815 milioni di uomini e donne che soffrono la fame, 38 milioni in più in un anno, «un nuovo paese di derelitti delle dimensioni del Canada!». Questo è l’acme dell’intervento con cui il segretario generale della Cei ha portato la posizione della Chiesa, esortando i governi a porre un freno alle «fortissime diseguaglianze», provocate dai cambiamenti climatici, ma anche dalle guerre e dagli accordi commerciali. Occorre, ha detto, «ri-pensare il modello globale che regola sia il sistema manifatturiero sia quello agricolo. Soprattutto il sistema agricolo è appiattito sulle regole dell’industria estrattiva, non ha cioè carattere conservativo. La produzione e la distribuzione nel modello agricolo stanno dentro la logica della commodity, del bene considerato solo in virtù delle sue ragioni di scambio, senza prendere in esame la molteplicità di effetti sul piano ambientale, sociale ed etico».

IL TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DI GALANTINO

Il segretario della Cei ha criticato «il principio "intoccabile" (una sorta di "feticcio") del libero commercio, sancito dal Wto, che sta alla base dei cosiddetti trattati globali o multilaterali», e la «devastante contraddizione» che ci porta a parlare di sostenibilità ambientale e poi a siglare accordi di "libero commercio" che «sono impermeabili a preoccupazioni ambientali e indirettamente sanciscono la legittimità di condizioni di lavoro di carattere feudale. A vincere continua ad essere sempre e solo il "prezzo"», ha osservato.

Contro questa «logica perversa», Galantino invoca «accordi più ampi e inclusivi» e a Bergamo ha disegnato uno scenario nuovo: «L’enorme potenziale tecnologico che abbiamo sedimentato nel cuore delle nostre agricolture sappia calarsi dentro un nuovo modello caratterizzato in termini di "sostenibilità" ambientale e sociale; un modello vicino a quell’impronta di prossimità che parte dalla famiglia, garantisce sussistenza e mantiene il ruolo centrale del contadino nella comunità. Negli infiniti Sud del mondo ciò consentirebbe di mettere un freno alla spogliazione delle campagne e ai conseguenti flussi migratori». L’obiettivo? «Un modello agricolo in cui il "cibo" rimane tale e non diventa commodity e un commercio "libero e giusto"».

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