giovedì 22 febbraio 2024
In ballo ci sono i fondi previsti per bonifiche e per riqualificare gli addetti. Ma i bandi non partono e la chiusura dell’Agenzia per la coesione crea problemi di regia
Le acciarie Arcelor Mittal, l'ex Ilva, a Taranto

Le acciarie Arcelor Mittal, l'ex Ilva, a Taranto - Reuters

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Sulla carta sarebbero tanti soldi: 795,6 milioni, con progetti cruciali per Taranto, dall’ulteriore sviluppo dell’energia rinnovabile alla decarbonizzazione dell’area, progetti per l’idrogeno verde, recupero di aree degradate, sostegno alla diversificazione economica e alla creazione di nuove imprese innovative, riqualificazione e ricollocamento dei lavoratori in esubero. Parliamo del Just Transition Fund, il fondo da 17,5 miliardi di euro per tutta l’Unione, lanciato dall’Ue nel 2021 per aiutare le aree più colpite dagli intensi processi di trasformazione legati alle esigenze di riduzione delle emissioni in vista della neutralità climatica nel 2050. All’Italia spettano 1,168 miliardi (che salgono a 1,211 miliardi aggiungendo la quota di cofinanziamento nazionale). La Commissione Europea ha identificato, in coordinamento con il governo, due aree di intervento. Una è proprio quella di Taranto, segnata dalla forte presenza di aree contaminate dovute anzitutto alle attività industriali nonché la crisi socioeconomica legata all’ex Ilva, oggi Acciaierie d’Italia (l’impianto non è direttamente interessato dal Jtf, il quale si concentra invece sull’impatto economico e ambientale). La seconda area è il Sulcis, in Sardegna (con altri 367,2 milioni), segnato soprattutto dalla chiusura delle numerose miniere di carbone, dalla trasfor-mazione “verde” della centrale “Grazia Deledda” e dalla necessità di intense bonifiche.

Per tutto il 2023 non si è mosso granché. Solo il 31 gennaio 2024 è partito un primo bando per una bonifica nel Sulcis, mentre a Taranto siamo a zero bandi. C’entra la tradizionale lentezza tipica di tante amministrazioni pubbliche italiane, locali e nazionali, che ha rallentato le pratiche di preparazione dei bandi. La Regione Puglia già a fine 2022 ha identificato l’”organismo intermedio”, e cioè la struttura regionale che deve gestire i bandi e la selezione dei progetti (per raffronto, la regione Sardegna lo ha fatto solo nel novembre 2023), ma la formalizzazione è arrivata solo nell’ottobre 2023. Non basta. Il governo di Giorgia Meloni, come si è visto per il Pnrr, ha deciso di centralizzare la gestione della coesione. E così dal primo dicembre 2023 è stata soppressa l’Agenzia per la coesione, le cui competenze sono state trasferite al Dipartimento per la coesione territoriale presso Palazzo Chigi. A quel punto l’autorità di gestione per il Jtf italiano, che fal’attuazione ceva capo all’Agenzia, è automaticamente decaduta e deve ora essere ricreata ex novo presso il Dipartimento. Cosa che, spiegano a Bruxelles, almeno finora non è accaduta. Il problema è notevole: se gli organismi intermedi regionali possono indire i bandi e selezionare i progetti, poi però il piano esecutivo con il relativo finanziamento deve essere varato e approvato dall’autorità di gestione a Roma. Al momento, apprendiamo, l’interlocuzione tecnica sul Jtf tra Roma e Bruxelles è in sostanza in pausa, proprio per mancanza di controparti a Roma, anche se rimane naturalmente quella a livello politico. Il problema riguarda ovviamente anche il Sulcis.

C’è però un secondo problema per del Jtf a Taranto: la gigantesca incognita sulle sorti dell’acciaieria, soprattutto alla luce degli ultimi sviluppi. Inizialmente, i progetti del Fondo erano stati tarati sulle stime di un ridimensionamento con circa 4.000 esuberi. Se, ci spiegano a Bruxelles, l’acciaieria dovesse chiudere del tutto, l’impatto sul territorio, a cominciare dall’indotto, sarebbe molto più grave. Risultato: i piani di riqualificazione dei lavoratori, il sostegno alla diversificazione economica e imprenditoriale, ma anche le bonifiche dovrebbero essere di ben altre dimensioni. Per questo, spiegano a Bruxelles, la regione Puglia per ora ha preferito non indire bandi: troppo alto il rischio che si rivelino inadeguati e dunque poi da rifare. Il tempo stringe, avvertono a Bruxelles (e questo vale anche per il Sulcis): circa due terzi dei fondi del Jtf per le due aree provengono dal Fondo di rilancio Ue. Il quale ha una scadenza precisa e improrogabile: fine 2026, data entro la quale dovranno esser spesi i soldi erogati, pena la loro revoca. Sarebbe, per Taranto, davvero un’occasione perduta.

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