martedì 16 giugno 2020
Diversity e Focus Mgmt premiano i migliori progetti individuati dal Diversity Brand Index 2019 e promuovono un confronto sui nuovi scenari, le problematiche e le sfide aperti dall'emergenza
La locandina dell'evento

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Organizzato e promosso dalla non profit Diversity, fondata da Francesca Vecchioni, e dalla società di consulenza strategica Focus Mgmt, il Diversity Brand Summit riunisce e premia i marchi più inclusivi emersi dal Diversity Brand Index, progetto di ricerca volto a misurare la capacità dei marchi di sviluppare con efficacia una cultura orientata alla diversity & inclusion. L'evento, che apre la due giorni di Welcome to the new era. Diversity & Inclusion: Stati Generali post Covid-19 si terrà giovedì 18 giugno alle ore 16 per la prima volta in formato digitale grazie alla partnership con Rödl & Partner e Extra.it, che ha fornito la piattaforma digitale su cui si svolge l'evento, e sarà condotto da Debora Villa. Previsti gli interventi dell'autrice e strategy advisor Frances West How to turn emergency into opportunities e della delegata alle Pari Opportunità del Comune di Milano Daria Colombo L'inclusione al tempo del Covid, accanto a quelli del docente di Sda Bocconi e partner di Asset Marco Bettucci, dell'esperto di Brand e Strategia di impresa Alberto Macciani, del professore dell'Università Bocconi Sandro Castaldo e del Director dell'UK's National Innovation Centre for Ageing Nicola Palmarini. Per partecipare all'evento, realizzato in collaborazione con la Commissione Europea e con il patrocinio del Comune di Milano, le aziende possono iscriversi gratuitamente su www.diversitybrandsummit.it fino a un'ora prima dell'evento.

Absolut, Bnl, Carrefour, Coca Cola, Danone, Decathlon, Durex, Freeda, Google, Hera, Huawei, Ikea, Jack Daniel's, Mattel, Netflix, Pastificio Garofalo, Rai, Sorgenia, Tim, Vitasnella, Vodafone: queste le 21 aziende selezionate dal Diversity Brand Index per il loro posizionamento nel mercato e le loro iniziative e attività realizzate in Italia nel 2019, fra cui servizi per clienti sordi, supermercati senza barriere che includono persone con disabilità, videogiochi per riflettere sui temi della diversity & inclusion, la prima app che traduce in tempo reale i libri di testo in lingua dei segni. Saranno premiati i due brand capaci di lavorare concretamente sulla D&I, impattando anche sulla percezione del mercato finale: un vincitore assoluto e il brand che più di tutti ha saputo utilizzare la leva digitale per creare una cultura di inclusione.

Durante l'evento saranno inoltre illustrate alcune evidenze emerse nella ricerca del Diversity Brand Index, come il +23% nella crescita dei ricavi per i brand che investono in pratiche di diversity & inclusion rispetto ai marchi non inclusivi: il dato che conferma per il terzo anno consecutivo (+20% nel 2018, +16,7% nel 2017) che la scelta dei consumatori e delle consumatrici è fortemente influenzata dalla percezione di inclusione relativa a un brand. 6 italiani/e su 10 (il 63%, +12% rispetto al 2018) infatti hanno dichiarato di orientare la preferenza d’acquisto nei confronti dei brand percepiti come inclusivi. In crescita del 4,7% anche il Net Promoter Score (indice del passaparola) che tocca il +89,8% per i brand attivi nelle attività D&I, con un numero di detrattori e detrattrici prossimo allo 0. Questo indicatore raggiunge invece il -86% per i brand che non veicolano una cultura dell’inclusione, diminuendo ulteriormente rispetto al 2018.

Cambiano inoltre i cluster della popolazione italiana: nel 2019 si è assistito a un aumento delle fasce più estreme con una crescita del segmento degli/le Arrabiati/e e la nascita degli/le Arrabbiatissimi/e con un conseguente svuotamento delle fasce intermedie che ha causato la scomparsa degli/le Indifferenti e il calo degli/le Idealisti/e, mentre i/le Consapevoli si sono trasformati in Coinvolti/e confermando l’importanza della consapevolezza quale driver per l'engagement in materia di inclusione.

«In questi ultimi tre anni è aumentata la polarizzazione delle persone nei confronti della diversità. La società assorbe il clima rappresentato dai modi e toni del discorso pubblico, come da quelli della politica. L'impatto sull'inclusione sociale è facilmente immaginabile. Eppure nella realtà siamo tutte e tutti collegati, non esistono spazi vuoti, siamo un'immensa rete sociale come le tessere di un infinito domino. Ogni persona ne ha a cuore almeno un'altra, ogni idea ne porta con sé un'altra, ogni azione innesca la successiva. E proprio come le tessere di un domino anche ogni azienda è coinvolta da queste dinamiche. Proprio chi ha la visione di queste connessioni e il coraggio di attivarle, inverte il senso della polarizzazione da negativo a positivo», dichiara Vecchioni.

I numeri che emergono dal Diversity Brand Index 2019 confermano come le pratiche inclusive sui temi di genere e identità di genere, etnia, orientamento sessuale e affettivo, età, status socio-economico, (dis)abilità e credo religioso (le sette aree della diversity sui cui si è concentrata la ricerca) impattino positivamente sulla reputazione del brand e sulla fiducia che consumatori e consumatrici ripongono nella marca e generino così una importante crescita economica e un rafforzamento della brand equity che porta le persone a riconoscersi nei valori veicolati dalla marca e a sceglierla quale punto di riferimento nella categoria di prodotto/servizio presidiata, attivando un percorso di passaparola positivo.

«La relazione sequenziale tra impegno delle aziende sulla D&I, percezioni dei consumatori, reputation, trust, loyalty e Net Promoter Score è confermata e rafforzata rispetto allo scorso anno. I valori del passaparola sono emblematici: l'impegno delle aziende in materia di inclusione non trova sostanzialmente detrattori, evidenziando come non vi siano controindicazioni nel parlare di diversità e inclusione al mercato finale. Consumatrici e consumatori sono in grado di distinguere il diversity washing dall'impegno reale. La ricorrenza di molti brand all'interno della Top 50 del Diversity Brand Index ne è la dimostrazione: solo i brand realmente ingaggiati sulla D&I resistono nel tempo e si differenziano, soprattutto dopo la disruption generata dal Covid-19», aggiunge Castaldo.

La ricerca, basata su un campione rappresentativo composto da 1.043 cittadine e cittadini, ha visto emergere 482 brand, citati dagli intervistati come “maggiormente inclusivi”, il +6,4% rispetto all’anno precedente. Delle 50 aziende più citate provenienti da tutto il mondo le aziende italiane sono state 18, pari al 36% del totale, con una presenza di spicco nelle categorie Consumer Service, Fmcg, Media e Utilities.

Il maggior numero di brand menzionati appartiene all’area retail (11 brand, 22% del totale), crescendo di 4 p.p. rispetto al 2018, seguita dai settori Fmcg e Consumer Services (otto brand per settore, rappresentando ciascuno il 16% del totale) e media (5 brand, 10% del totale) entrambi in crescita di 2 punti percentuali. Novità del 2019 è l’ingresso del settore Toys con due brand menzionati (4% del totale).

Cresce fino al 56% l’impegno delle aziende verso l’esterno (+8 punti percentuali rispetto al 2018). Dopo aver consolidato l'attività interna (iniziative relative a policy, education, networking, human resources e volunteering), nel 2019 i brand si sono concentrati soprattutto sulla personalizzazione della customer experience (+7 p.p. rispetto all’anno passato) adattandola alle singole forme di diversità con prodotti ad hoc, shopping experience evolute e soluzioni digitali sempre più diversity-oriented per trasformare l’inclusione in una soluzione: trend che è stato accelerato dalle dinamiche del Cornavirus.

«Analizzando le iniziative candidate dalle aziende, emergono sostanzialmente tre macro-aree all'interno delle quali è possibile classificarle: Customer Experience; Advertising, local marketing, PR & Event; Attività interne. Il primo segmento è quello più innovativo e racchiude le iniziative capaci di trasformare l'inclusione in soluzioni: la personalizzazione e lo sviluppo di solution diversity based fanno la differenza nel sistema decisionale di consumatrici e consumatori. Il secondo gruppo include le attività "tradizionalmente" realizzate dall'aziende quando percepiscono la volontà/necessità di parlare all'esterno di D&I, focalizzandosi principalmente sulla comunicazione nelle sue diverse forme. Il terzo segmento invece contiene il punto di partenza delle aziende quando iniziano ad affrontare il tema della D&I: il fronte interno. Possiamo così identificare tre step evolutivi per l'azienda, tra loro spesso sequenziali: interno, comunicazione esterna, personalizzazione diversity based. La continuità di effort in termini di advertising si abbina oggi ad un investimento in customer experience, dimostrando l’evoluzione delle aziende più attente alla D&I: dopo aver lavorato internamente sulla D&I, non basta comunicare all’esterno la rilevanza dell’inclusione, è necessario adattare la value proposition alle specificità di ogni forma di diversità, creando soluzioni, servizi e prodotti in grado di far sentire tutte e tutti coccolati. L'emergenza Covid-19 dimostra come una percentuale crescente di aziende abbia compreso questo need», conclude Emanuele Acconciamessa, coo di Focus Mgmt.

Gli Stati Generali della diversity & inclusion proseguono poi il giorno successivo, venerdì 19 giugno, quando il focus si sposterà sulla società civile: Drusilla Foer e Francesca Vecchioni, insieme a esperti del settore e ospiti d’eccellenza, racconteranno il periodo di lockdown con Tales of quaratine, diviso in cinque capitoli tematici legati alla d&i: Famiglia, Lavoro, Invisibili, Isolamento e Informazione, per la quale si presenterà uno speciale Diversity Media Report, un approfondimento realizzato da Diversity e dall’Osservatorio di Pavia su come i media italiani hanno raccontato le persone nel periodo di emergenza.

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