giovedì 26 settembre 2013
Entro ottobre sarà definito il progetto di «Youth guarantee». Ma preoccupa la «tenuta» dei Centri per l’impiego. «Garanzia giovani»: sei azioni per i ragazzi che non lavorano né studiano.
Dell'Aringa: centri impiego perno del sistema
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Preoccupazione numero 1: lo stanziamento dei fondi europei è in ritardo. Preoccupazione numero 2: le strutture pubbliche sono in stato di grave carenza dal punto di vista organizzativo, di risorse umane ed economiche. Mancano ancora tre mesi, la preparazione avanza a ritmo serrato, ma nessuno si nasconde le difficoltà di dare attuazione anche in Italia alla "Garanzia giovani" a partire dal primo gennaio 2014. Il programma concordato (e co-finanziato) con l’Unione europea, infatti, prevede che a tutti i giovani disoccupati o che concludono un ciclo di studi sia offerta entro 4 mesi un’occasione di lavoro o uno stage o una nuova proposta formativa. Una di quelle sfide che non si possono perdere. Ma potranno i centri per l’impiego, perno del sistema, reggere l’onda d’urto di centinaia di migliaia, se non milioni di ragazzi in cerca di un’opportunità in questi tempi di crisi?Il lavoro preparatorioDopo l’accordo in sede europea, il 30 luglio si è insediata una apposita "Struttura di missione" formata da ministero del Lavoro, Regioni, Province, Isfol e Italia lavoro per mettere a punto il piano operativo. «Si sono già tenute 4 riunioni e una quinta è in programma per settimana prossima – spiega Paolo Reboani, presidente di Italia lavoro –. Siamo a buon punto per quanto riguarda il coordinamento tra livelli istituzionali, ma a Bruxelles si è bloccato l’iter del bilancio e la ripartizione dei fondi per i vari Paesi. Dunque non sappiamo ancora se dal 2014 avremo a disposizione 1 o 1,3 miliardi di euro per questo intervento (che dovrebbero salire a 1,5 miliardi con il co-finanziamento italiano). Inoltre stiamo definendo il target di ragazzi da contattare e come sviluppare i collegamenti con le imprese. Abbiamo già piuttosto chiaro, invece, il percorso possibile di come svolgere questo compito di accompagnamento dei giovani al mercato del lavoro».Come funzioneràLo schema d’intervento in 6 azioni, messo a punto in accordo con le Regioni prevede, dopo un’azione informativa generale, che i giovani si rivolgano a un centro per l’impiego dove verranno accolti, informati sul percorso e presi in carico con la firma di un «patto di servizio». Seguirà un’azione di valutazione delle capacità e di orientamento. La terza tappa sarà quella della formazione di competenze di base o trasversali per accedere alle fasi successive: quelle dell’offerta di un tirocinio. Oppure, la mediazione per l’inserimento lavorativo in apprendistato o con un altro tipo di contratto di lavoro. Infine, in alcuni casi il giovane verrà avviato a un servizio di accompagnamento per la creazione di un’attività autonoma. L’Isfol, guidata dal presidente Antonio Varesi ha calcolato nel dettaglio anche i costi di ogni singola operazione (ore di formazione, utilizzo personale, ecc.) e dei possibili incentivi. Se si considera 1 miliardo di fondi europei, l’impegno complessivo "spendibile" sarebbe compreso tra i 450 e gli 800 euro pro-capite, a seconda che si consideri la platea dei Neet (giovani che non lavorano né studiano né sono in formazione) fino ai 29 o fino ai 24 anni, pari rispettivamente a 2,2 o 1,2 milioni di persone. Il nodo dei Centri per l’impiegoLe risorse dunque sono consistenti, ma non eccezionali in rapporto al numero di persone interessate. In ogni caso sono i "buchi" nella rete dei 570 centri per l’impiego (Cpi) sparsi in tutta Italia a preoccupare maggiormente. La situazione nel Paese è molto variegata: ci sono punte di eccellenza accanto a situazioni problematiche. In media i Cpi assicurano il 4% dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, con punte del 20% e ogni anno offrono comunque informazioni e orientamento a qualcosa come 2,4 milioni di persone. Da ultimo si sono trovati da un lato a far fronte alle nuove incombenze relative, ad esempio, alla cassa integrazione in deroga, dall’altro la crisi ha portato a spostare gli investimenti pubblici dalle politiche attive agli ammortizzatori sociali, riducendo così gli impegni per i servizi al lavoro. Infine l’incertezza sul futuro delle Province, da cui dipendono, li ha relegati in un limbo. «Ora la sentenza della Corte costituzionale in materia di Province ci dà un anno di tempo, dobbiamo sfruttarlo per decidere il loro futuro e una profonda riforma – spiega Gianfranco Simoncini, assessore della Toscana e coordinatore della Commissione Lavoro per la Conferenza delle Regioni –. Il modello dovrebbe essere quello di creare un’agenzia nazionale di coordinamento e spostare i Cpi sotto la responsabilità di agenzie regionali». Ma se il futuro è questo, resta però da attuare subito la Garanzia giovani. Sarà possibile? «Io penso di sì: a livello nazionale il quadro è già abbastanza delineato e non dimentichiamo che già oggi i Cpi svolgono molti compiti essenziali – conclude Simoncini –. Piuttosto il problema è quello delle risorse: il ritardo di Bruxelles negli stanziamenti è preoccupante perché riguarda non solo la Garanzia giovani, ma anche tutto il Fondo sociale europeo, con il quale si finanziano i Cpi stessi e molte attività. Alcune Regioni stanno anticipando i fondi, ma presto non sarà possibile continuare a farlo».Il ruolo dei privatiIn tutto questo, le Agenzie per il lavoro, con i loro 2.500 sportelli in tutt’Italia e il patrimonio di contatti con le imprese, sono un soggetto imprescindibile per vincere la sfida. «Abbiamo un sistema formativo tutto finanziato con risorse private, riconosciuto come modello su base europea e con un preciso obbligo di placement per almeno il 35% dei corsisti. E un sistema integrato di servizi (ricerca, selezione, somministrazione, outplacement) capace di rispondere al meglio alle esigenze del mercato, con tutte le tutele per il lavoratore», rivendica Luigi Brugnaro, presidente di Assolavoro (l’associazione nazionale delle agenzie). Ma come remunerare l’impegno dei privati? «Basta guardare ai risultati e premiare chi effettivamente, attraverso i propri servizi, fa sì che le persone entrino o rientrino nel mercato del lavoro», risponde Brugnaro. D’altro canto la collaborazione pubblico-privato, per quanto non generalizzata è già comunque piuttosto diffusa: «A Torino, a Firenze, in Campania come nel Veneto stiamo sviluppando forme virtuose di interazione tra pubblico e privato nei servizi per il lavoro – conclude il presidente di Assolavoro–. Si tratta di esperienze da cui è possibile ricavare buone pratiche utili anche a livello nazionale. Noi ribadiamo la nostra disponibilità anche per la Garanzia giovani».
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