venerdì 20 novembre 2009
Più difficile avere mutui, prestiti e carte se non si ha un posto di lavoro fisso. La stretta creditizia non riguarda solo le piccole imprese, ma anche i lavoratori atipici.
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«Grazie per aver contattato CartaSi ma non possiamo soddisfare le sua richiesta». Alessandro, 30 anni, non ha ottenuto la carta di credito. Perché ha un contratto di lavoro a termine. Così, almeno, gli hanno detto al call center. CartaSi, che da neanche un anno ha incominciato a emettere direttamente, decide infatti di rilasciare le card sulla base di molte variabili. Il precariato è una di queste. «Gli elementi che vengono presi in considerazione sono molti – spiegano –. La tipologia di contratto lavorativo è uno di questi».La crisi ha cambiato tutto. Dopo gli anni del credito facile, oggi le banche e gli istituti finanziari stanno stringendo i cordoni del credito su carte, ma soprattutto prestiti e mutui immobiliari. Pretendono certezze, che il precario evidentemente non dà. Come nel caso di Giorgio, 35 anni, un lavoro a tempo determinato con contratti rinnovati da ben tre anni, che si è visto negare il mutuo migliore dal Monte dei Paschi di Siena. Non sono bastati l’ipoteca sulla casa, il suo stipendio e nemmeno la garanzia della doppia pensione dei genitori. La giustificazione del rifiuto non fa una piega: «La sua condizione lavorativa non ci permette di avere sufficienti garanzie per la concessione del credito. I tempi sono quelli che sono e stiamo stringendo». Lo stesso è accaduto a un ricercatore universitario che lavora a Bruxelles, 4mila euro al mese di stipendio, ma anche lui con contratto a termine.Facendo un giro degli istituti di credito la sonata non cambia, con qualche eccezione da parte soprattutto delle banche dei territori. «Tutta colpa dei parametri di Basilea 2 – si difendono gli istituti –. Il sistema chiede più garanzie e noi dobbiamo adeguarci». Così i giovani con contratti di lavoro atipici devono accontentarsi di prodotti specifici che, invece di agevolarli, richiedono tassi più alti, particolari assicurazioni e la necessità di spalmare il mutuo anche in 40 anni. Un’eternità. Che spaventa il giovane: come farò a costruirmi una famiglia? Con quale fiducia guarderò al futuro? La questione è seria. La flessibilità sta cambiando le dinamiche della vita e del lavoro dei giovani, ma oggi mostra tutte le sue faglie. I figli della nuova frontiera non sono giovani rampanti pronti a saltare da un posto all’altro, ma precari dal futuro sempre più incerto. Tra l’altro i primi ad essere tagliati nei casi di riduzione del personale. «Sono l’uomo flessibile. Sono l’uomo invisibile», ironizzava il cantautore Carlo Fava. Finita l’era del credito per tutti, con oltre 2 milioni di giovani lavoratori «flessibili» e in un mercato che si basa sempre più su questo tipo di contratti, emerge l’evidenza di un paradosso: il mercato produce lavoratori precari con poche tutele e minori garanzie, esattamente quelle richieste dagli istituti di credito per finanziare i progetti di vita.È un cortocircuito che non riguarda solo le piccole imprese, ma anche i lavoratori più deboli. Il credito va a chi ha già una base solida, e la stretta riguarda chi ha bisogno di un prestito per (ri)mettersi in marcia. Dati «ufficiali» sul fenomeno non ce ne sono, è una rilevazione complicata. Perché i «no» delle banche restano in banca. Senza traccia. Nel silenzio. «Non abbiamo dati – conferma Giuseppe Piano Mortari, direttore operativo di Assofin –. Ma è logico ritenere che nel momento in cui il sistema pone più attenzione nella concessione del credito e i criteri siano più stretti, ci possano essere situazioni più a rischio e di difficoltà, come quella dei lavoratori atipici che danno minori garanzie».Da una ricerca dell’Università di Modena e Reggio Emilia in collaborazione con Prometeia, nell’ambito di un progetto finanziato dal ministero dell’Università, si evidenzia subito un dato. Sebbene i lavoratori cosiddetti atipici siano l’8% del totale, rappresentano solo il 3,6% degli «indebitati». Questo – rileva lo studio – porta a una duplice lettura: una inferiore capacità di accesso al credito, ma anche una rinuncia ad acquistare "a monte". Il ricorso al credito è più contenuto, ma anche più «responsabile». Nel 76,2% dei casi il precario chiede un prestito per far fronte a un imprevisto. Il 14,3% si indebita per finanziare un progetto familiare o personale particolarmente importante. Solo il 9,5% richiede un prestito per soddisfare un desiderio o per acquisti voluttuari. Di fronte alla crisi, inoltre, c’è un maggiore pessimismo: il 52% abbasserà i comportamenti di acquisto.Un’indagine che mostra sofferenza. «C’è un numero di famiglie sempre più alto che non riesce a pagare le rate e sostenere il debito – aggiunge Piano Mortari –. Le banche si fanno più prudenti. E così finanziamenti che fino all’anno scorso sarebbero stati concessi, ora vengono negati. Ma oggi più di ieri le banche dovrebbero essere maggiormente attente nel valutare i singoli casi». E l’uomo flessibile torna «invisibile». Con l’amara chiusura del cantautore: «Adesso che ci penso bene in tutta questa flessibilità, mi sembra che manchi qualcosa: quel mezzo chilometro di felicità».
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