martedì 1 giugno 2010
Pur rimandando a un secondo tempo il giudizio di merito sulle varie misure, il numero uno di Bankitalia condivide la filosofia dei tagli contenuta nel provvedimento sul bilancio dell’esecutivo.
Battaglia comune contro la «macelleria» di M. Calvi
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Dito puntato contro gli evasori fiscali: «Sono tra i responsabili della macelleria sociale in Italia, espressione rozza ma efficace». Mario Draghi abbandona per una volta la tradizionale austerità del linguaggio della Banca d’Italia e fa un’aggiunta a braccio per indicare senza remore il "male dei mali" per l’Italia. Un problema da affrontare una volta per tutte ora che si profila un’«ardua sfida collettiva», quella di «coniugare la disciplina di bilancio con il ritorno alla crescita». Sì, perché nelle sue "Considerazioni finali", pur rimandando a un secondo tempo il giudizio di merito sulle varie misure, il governatore di Via Nazionale condivide la filosofia dei tagli contenuta nella manovra del governo Berlusconi («Era inevitabile agire»), ma si affianca a Confindustria nel sottolineare che servono anche «riforme strutturali» perché «la correzione dei conti va accompagnata con il rilancio della crescita». Tanto più che la manovra avrà un suo effetto recessivo già da quest’anno.Della quinta relazione da governatore di Draghi (la più breve di sempre, 15 pagine), si appropria subito Silvio Berlusconi: «Ho apprezzato – dice il premier – il riconoscimento che ha dato all’azione di governo» ed «è dall’inizio della legislatura che il governo ha fatto propria la sfida lanciata» da Draghi. A dire il vero, la sua analisi è più equidistante. Molto va addebitato alla crisi (la cui «radice», ricorda senza mezzi termini il "numero uno" di Bankitalia, sta negli Usa), ma in Italia ci abbiamo messo del nostro: la spesa primaria corrente - la cui crescita ora si vuol ridurre sotto l’1% annuo - è stata lasciata correre «in media del 4,6% l’anno negli ultimi 10 anni» e il rapporto debito pubblico/Pil, che era sceso «del 18% tra il 1994 e il 2007», in un biennio è salito del 12%. Sono tendenze che ora bisogna invertire. È qui che, dati alla mano, Draghi si scaglia contro l’evasione, che «è un freno alla crescita perché richiede tasse più alte per chi le paga», e contro la corruzione. Solo per l’Iva, «si può valutare che fra 2005 e 2008 sia stato evaso il 30%, oltre 30 miliardi l’anno»: se fosse stata pagata, rimarca, il nostro debito pubblico «sarebbe tra i più bassi dell’Ue». Idem per la corruzione: nelle 3 regioni del Sud «in cui si concentra il 75% del crimine organizzato», il valore aggiunto pro capite del privato è meno della metà del Centro-Nord. Per dar corpo all’azione di contrasto il governatore lancia poi una proposta: «Il nesso fra riduzione dell’evasione e quella delle aliquote va reso visibile ai contribuenti».Ma la crisi europea è soprattutto - anche nel caso Grecia - una «crisi di competitività», che ha falcidiato le imprese (9.400 fallite nel 2009) risparmiando però quelle che hanno investito in ricerca e sviluppo (sopra i 50 addetti, è previsto un aumento del fatturato di più del 6%). Il governatore elenca allora una serie di paletti (vedi sotto) pure per le riforme del federalismo e per quelle che restano da fare nel mercato del lavoro. Draghi non dimentica però la sua visione internazionale. Così, agli impegni sul piano nazionale, affianca le sue ipotesi sul Patto europeo: in primo luogo, un suo «rafforzamento», introducendo per chi non lo rispetta «sanzioni anche politiche», fino alla privazione del diritto di voto in sede Ue; inoltre «impegni cogenti» e sanzioni vanno previsti per gli obiettivi «strutturali» del cosiddetto Patto di Lisbona. Il capitolo banche, infine. Draghi definisce «incoraggianti» i progressi fatti nel rafforzare il patrimonio, avvisando che «devono continuare». Avvisa che in futuro «fare banca sarà meno redditizio ma anche meno rischioso» e chiede più poteri per «rimuovere i responsabili di gestioni scorrette» prima di arrivare al commissariamento.
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