martedì 2 febbraio 2010
Dopo l’appello del Papa si torna a trattare per Fiat e Alcoa. Al via una settimana di fuoco. Già 150 i tavoli aperti. Ieri confronto sull’Eutelia, oggi si tratta per l’Alcoa, venerdì si parla di Termini Imerese. Nel 2009 la task force del ministero ha operato per 300mila lavoratori. La chiesa in campo: solidarietà in parole e opere.
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    Giorni cruciali. Che possono sconvolgere la vita di migliaia di lavoratori. Quella che si è aperta ieri è una settimana di forte trepidazione per alcune grosse realtà produttive italiane. Assemblee, scioperi, tavoli: un crescendo di attenzione e di timori. Tutto in pochi giorni. Ad alta tensione. In cui l’orizzonte può incupirsi e il futuro naufragare. Vertenze calde, quelle di Fiat e Alcoa. Richiamate fortemente anche dal Santo Padre, domenica scorsa all’Angelus, con un appello alle imprese a difesa dei lavoratori e delle famiglie: «Salvate i posti di lavoro». Fiat, Alcoa, ma anche Eutelia ed Eridiana. Fronti aperti e nodi da sciogliere. Migliaia di destini da decidere e da salvare. Sulla scia delle parole di Benedetto XVI, il governo è stato chiaro: «Tocca alle imprese esprimere quanto più quella responsabilità sociale che deve indurre a non compiere frettolose scelte di ridimensionamento occupazionale dopo aver avuto lunghi anni di utili e, magari, aiuti pubblici», ha detto il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi.Al ministero dello Sviluppo economico da mesi i tecnici lavorano per assicurare un buon esito ai confronti fra aziende e sindacati. Una task force attivata dal ministro Claudio Scajola per affrontare gli effetti della crisi: nel 2009 sono stati gestiti più di 150 tavoli che hanno coinvolto oltre 300mila lavoratori. Un impegno che continua. Ieri sera si è riaperto il confronto su Eutelia: i sindacati sono tornati a chiedere il mantenimento delle commesse per il gruppo Omega (ex-Eutelia-Agile) e il pagamento degli stipendi arretrati per tutti i lavoratori, che sono a secco di retribuzione da oltre 6 mesi. In bilico ci sono ben 3.100 posti in diverse sedi.Oggi, sotto la lente d’osservazione è Alcoa. Per i due stabilimenti di Portovesme in Sardegna e Fusina in Veneto, lo spettro della chiusura è dietro l’angolo. Il gruppo ha avviato le procedure per la messa in cassa integrazione dei lavoratori e ha annunciato la fermata temporanea degli impianti dal 6 febbraio. La multinazionale dell’alluminio chiede garanzie scritte sulle procedure Ue che nessuno può dare se non la stessa Commissione europea. Questione di tempo. Quello che non c’è – fra azienda e indotto – per duemila operai. Il 5 sarà il turno di Fiat: dopo l’incontro di venerdì scorso al ministero dello Sviluppo Economico, la vertenza tornerà sul tavolo di governo, forze sociali e azienda. Nell’attesa, domani i lavoratori di tutti gli stabilimenti del gruppo incroceranno le braccia: lo sciopero è stato confermato dai sindacati nonostante l’ultima riunione abbia suggellato la ripresa del dialogo tra le parti e soprattutto abbia fatto riemergere qualche speranza per lo stabilimento di Termini Imerese. Secondo il governo ci sarebbero «sette manifestazioni d’interesse» per il sito siciliano. A Termini i posti a rischio, indotto escluso, sono 1.300. Ma a preoccupare è anche la situazione di Pomigliano d’Arco, in Campania. Ieri intanto si è svolto lo sciopero generale dei lavoratori del gruppo saccarifero Eridiana-Sadam, con un presidio sotto la sede di Bologna. L’azienda – secondo i sindacati – sta «negando a circa 600 lavoratori la copertura salariale per il 2010». Lunedì prossimo ci sarà un nuovo tavolo invece sull’Antonio Merloni, dove sono a rischio oltre 3 mila lavoratori.Nel corso degli ultimi mesi molte altre vertenze hanno tenuto col fiato sospeso migliaia di lavoratori. Alcune risolte positivamente come all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), dove per 59 giorni è andata avanti la protesta dei precari sul tetto della sede. Un accordo era stato raggiunto anche per 66 dipendenti di Yamaha Motor Italia di Lesmo.
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