martedì 13 febbraio 2024
Con 6,2 miliardi di euro l'anno contribuiscono alla transizione ambientale ed energetica. Tante le opportunità di lavoro
Ecoballe nel termovalorizzatore di Acerra (Napoli)

Ecoballe nel termovalorizzatore di Acerra (Napoli) - Ansa

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Le utility sono le imprese che si occupano dell’erogazione e la gestione di servizi pubblici: distribuzione dell'energia elettrica e del gas, gestione del ciclo idrico, smaltimento dei rifiuti, manutenzione delle aree verdi, trasporto pubblico. La trasformazione avvenuta da modelli legati ai sistemi pubblici e di monopolio pone l’accento su sfide e concorrenza: la liberalizzazione del mercato, le nuove regole, le fusioni e l’outsourcing hanno mutato il quadro di riferimento e nuove professionalità devono corrispondere a questa tipologia di “nuovo mondo”. Oltre alla mutazione delle regolamentazioni, assistiamo a due grandi e ulteriori fattori: la transizione energetica e la digitalizzazione. Sono 400 le aziende associate a Utilitalia, la Federazione delle imprese di acqua, ambiente e energia. Gli addetti complessivi sono 95.288 (47.636 ambiente, 36.270 acqua e gas, 11.382 energia).

Le utility devono quindi adeguarsi (se non addirittura spingere il cambiamento) e questo percorso passa necessariamente da un’evoluzione delle figure professionali e dell’approccio culturale. A cominciare dall’utility manager: un esperto del mercato energetico in grado di tutelare gli interessi di famiglie e imprese, gestendo per loro le bollette mensili di luce, gas, ma anche telefonia e connettività. Questa professione è sempre più richiesta ed è in costante aggiornamento. Non ci si può improvvisare utility manager: dal 16 aprile del 2020 esiste una legge (la Uni 11782) che fissa le competenze necessarie per svolgere questa professione che per sua natura deve essere aggiornata sui temi di sostenibilità ecologica (come gli obiettivi della Agenda 2030 e la transizione energetica) ed economica (per prevedere e reagire agli aumenti determinati dalle dinamiche geopolitiche). Ma soprattutto questa norma indica il processo da seguire per ottenere la certificazione, consigliata per chiunque operi come intermediario, come agente o come consulente nel settore dell’energia e della telefonia. Le opportunità di formazione e certificazione sono svariate. Sono numerose le grandi aziende che hanno intrapreso percorsi di formazione interni, ma esistono anche scuole specializzate per la formazione che garantiscono un corso base composto da moduli on line, della durata complessiva di 24 ore, per avere accesso alla certificazione in conformità alla norma.

ManpowerGroup e Luiss Business School, inoltre, hanno realizzato una ricerca denominata Traiettorie evolutive e competenze per le imprese Energy, con il fine di delineare una panoramica riguardante le nuove sfide professionali. Il primo risultato è legato alla digitalizzazione: le figure professionali che hanno più mercato in questo specifico mondo del lavoro sono i gestori di dati, come i data scientist (23,5%), i data analyst (11,8%) e data mining expert (5,9%). Questi sono esperti in grado di ricavare da enormi quantità di dati, strutturati e non strutturati, le vie strategiche per le aziende: ottimizzare i processi, prendere provvedimenti non solo al momento opportuno, anticipando le tendenze del mercato.

​Un’altra caratteristica importante è la “transdisciplinarità”, in altre parole la bravura nell’essere flessibili, muovendosi tra differenti attività e funzioni. Non è tuttavia semplice trovare queste figure professionali: intelligenza artificiale, internet of things, big data e 5G sono e saranno sicuramente una rivoluzione ulteriore a cui non tutti sono ancora pronti. Le aziende puntano molto ad advisor esterni, ma sarà sempre più opportuno tornare a investire sul personale interno, al fine di non disperdere energie ed investimenti: le vere rivoluzioni aziendali avvengono all’interno delle imprese.

Tra i profili più richiesti nel prossimo futuro: ingegneri elettrici, ingegneri energetici, ingegneri e gestori delle infrastrutture elettriche, ingegneri da inserire nella progettazione esecutiva e realizzazione per l’ambito generazione rinnovabili, periti meccanici ed elettrici per le manutenzioni in impianto e delle reti, turnisti per l’esercizio di impianto (anche con abilitazione alla conduzione di generatori di vapore), business analyst, It project manager, cyber security specialist, addetti sala controllo, manutenzione elettrostrumentale reti, coordinatori/assistenti meccanici ed elettrostrumentali per la manutenzione negli impianti di generazione, manutenzione elettrica reti, digital marketing, project manager efficienza energetica, customer service.

Investimenti per 6,2 miliardi di euro l'anno

Un volume complessivo di investimenti realizzati nel 2022 pari a 6,2 miliardi, un terzo dei quali destinati a decarbonizzazione, digitalizzazione ed economia circolare, un valore aggiunto distribuito ai diversi referenti (lavoratori, azionisti, pubblica amministrazione, finanziatori, comunità locali, oltre a quanto viene reinvestito in azienda) pari a 12,7 miliardi: sono i dati principali che emergono dal rapporto di sostenibilità Le utilities italiane per la transizione ecologica e digitale elaborato da Fondazione Utilitatis per conto di Utilitalia, su un campione di 89 aziende.

Rispetto ai 4,6 miliardi di investimenti realizzati nel 2021, nel 2022 il dato sale a 6,2 miliardi (+35%): di questi, 1,8 miliardi sono destinati alle sfide della decarbonizzazione, della digitalizzazione e dell’economia circolare (il 29% del totale, in linea con l’anno precedente). L’obiettivo della decarbonizzazione resta centrale per le utility, con investimenti che superano gli 830 milioni; gli esempi concreti sono numerosi, dall’energia prodotta da fonti rinnovabili (81%, con un balzo di ben 32 punti percentuali in un anno) ai quasi 9mila mezzi a basso impatto ambientale (22% del totale), principalmente utilizzati per la raccolta dei rifiuti.

Gli investimenti in economia circolare ammontano a oltre 500 milioni (+84% in un anno): grazie a questi investimenti, la percentuale di riciclo dei rifiuti differenziati arriva al 92%, mentre il tasso di recupero dei fanghi di depurazione supera l’88%.

Per quanto riguarda la digitalizzazione, gli investimenti sono di 420 milioni (+41% rispetto al 2021); oggi il 39% della rete idrica risulta distrettualizzata, mentre i contatori intelligenti del gas sono il 55% di quelli installati.

Il valore aggiunto annuale distribuito agli stakeholder è di 12,7 miliardi, con una crescita del 18% rispetto agli 11,7 miliardi dell’anno precedente. A esso si sommano ulteriori 33,7 miliardi di spesa verso i fornitori, di cui quasi il 65% verso realtà locali.

Il rapporto evidenzia la crescita dell’integrazione della sostenibilità nel modello di business delle utilities: il 47% di esse – spesso in assenza di obblighi normativi – elabora un rapporto di sostenibilità, il 17% si è dotato di una struttura dedicata alla sostenibilità e il 36% ha previsto obiettivi espliciti di sostenibilità all’interno del piano industriale. Nell’ambito specifico della salute e della sicurezza sul lavoro, il 56% delle aziende monitora i near miss (gli incidenti mancati) e il 53% adotta sistemi certificati di gestione della sicurezza sul lavoro. Sul fronte della parità di genere si registra una percentuale di donne nei Consigli di amministrazione pari al 36%.

Il rapporto dedica inoltre un approfondimento anche al tema della tassonomia, con l’obiettivo di rendicontare gli investimenti finanziari verso le attività economiche che possono contribuire alla transizione verso un’economia sostenibile. I dati rivelano che la percentuale media di fatturato, spese operative (opex) e investimenti in beni capitali (capex) ammissibile è rispettivamente del 61%, 64% e 67%. Al contempo, la percentuale media allineata a questi parametri si attesta al 53%, 59% e 54%.

Il rapporto dedica un focus alla serie storica delle performance di un rilevante gruppo di associate a Utilitalia. Si tratta di oltre 40 aziende, che valgono circa 62 miliardi di ricavi (pari al 93% del campione) e occupano oltre 71.000 lavoratori. Per questo gruppo è disponibile l’andamento, in un orizzonte di 4 anni, di 15 indicatori particolarmente rappresentativi per il settore idrico, ambientale ed energetico.

Tra i dati principali, si segnala, nel caso del ciclo idrico, che le perdite di rete si attestano al 37,4%, con una costante progressione di quasi due punti percentuali rispetto al 2021 e di quattro rispetto al 2019 (erano al 41,2%); la quota di fanghi da depurazione recuperati, in linea con l’anno precedente, si attesta nel 2022 all’84,1% (rispetto al 77,5% del 2020 e al 71,4% del 2019).

Per quanto riguarda la raccolta differenziata dei rifiuti, le imprese di questo campione raggiungono il 70% rispetto alla media italiana del 65%. Sul fronte dell’energia elettrica, infine, la quota prodotta da fonti rinnovabili raggiunge il 78%, in aumento di 6 punti percentuali rispetto al 2021.


Anni positivi per il settore energetico

Sono anni positivi per le società dell'energia, che hanno ampiamente superato la crisi del 2020, raggiungendo risultati storici sia per fatturato sia per redditività. È quanto emerge dalla VIII edizione del Rapporto sui bilanci delle società dell'energia 2014-2022 realizzato dal Centro Studi CoMar, aggregando e confrontando i risultati degli ultimi nove anni e anticipando quelli del 2023 sulla base dei risultati dei primi nove mesi. Lo studio mostra come il fatturato complessivo delle aziende analizzate sia stato nel 2022 di 643,8 miliardi, in crescita di 294,2 miliardi (+84,1%) rispetto ai 349,6 del 2021. Una progressione sostenuta, anche rispetto al precedente picco di 306,9 miliardi raggiunti nel 2014 (+109,8% su nove anni fa). Gli utili, a loro volta, ammontano a 24,7 miliardi, in aumento di 8,7 miliardi sul 2021 e rappresentano il 3,8% sul fatturato, comunque in calo rispetto al 4,5% del 2021, anche per l'incidenza dei decreti extra-profitti. La progressione dal 2019, ultimo esercizio pre pandemico, è del 256%. L'ebit ha superato i 44,7 miliardi, crescendo di 13,1 miliardi sull'anno precedente (+41,6%), mentre il rapporto ebit/fatturato flette dal 9% al 6,9%. In crescita tendenziale dell'11% i debiti finanziari che superano i 207,3 miliardi. Poiché tuttavia la dinamica dei ricavi è stata più sostenuta, il rapporto debiti/fatturato si è riportato al 32,2% dal 53,4% del 2021 e dal 76,5% del 2020. Le societá dell'energia quotate, a fine 2021, sono 19: A2A, Acea, Acinque (gruppo A2A), Alerion Clean Power, Algowatt, Ascopiave, Ecosuntek, Edison, Enel, Eni, Erg, Eviso, Gas Plus, Hera, Iren, Italgas, Saras, Snam, Terna, una di meno, con il delisting di Falck Renewables (ora Renantis). A inizio 2023, la loro capitalizzazione borsistica era di 153,6 miliardi, il 24,5% del totale con Enel maggior titolo di settore per peso (51,3 miliardi) seguita da Eni (47,8 miliardi). A fine ottobre la capitalizzazione delle società del settore energia era ulteriormente cresciuta a 172,7 miliardi (+12,5%) e performando meglio sull'andamento totale della capitalizzazione di borsa (+10,76%). Guardando le classifiche delle singole aziende con riferimento ai bilanci 2022, Enel si conferma al primo posto per fatturato, davanti a Eni. Le societá con il miglior rapporto fatturato per dipendente risultano Gse Gestore Servizi Energetici, Edelweiss Energy Holding, Esso Italiana, Shell Italia E&P, Burgo Energia, Ecosuntek. Infine, le aziende con il miglior rapporto debiti finanziari su fatturato sono Pad Multienergy, Edelweiss Energy Holding, Testoni, Ultragas Cm, Bp Italia e Tirreno Power.

Il rilancio del Sud

Il Rapporto Sud, presentato da Utilitalia e Svimez, analizza l'impatto economico e occupazionale del settore delle utility (ambientale, idrico ed energetico) nel Mezzogiorno, con particolare attenzione agli investimenti derivanti dal Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza. Le utility meridionali rappresentano il 2,1% del Pil del Mezzogiorno, contribuendo con dieci miliardi di euro di valore aggiunto e 340mila posti di lavoro a tempo pieno. Considerando l'intera filiera "energia e ambiente," il valore aggiunto sale a 17 miliardi di euro (4,2% del Pil) e l'occupazione totale raggiunge il 4,9% dell'area. L'80% del valore aggiunto e dell'occupazione generati dalle utility meridionali rimane nel Mezzogiorno. Ogni euro prodotto da queste imprese genera un euro di valore aggiunto nell'economia nazionale, di cui 0,80 centesimi nel Sud.

Il Pnrr fornisce 6,7 miliardi di euro alle regioni meridionali per settori come l'acqua, l'ambiente e l'energia, generando un totale di 14,1 miliardi di euro (45% della produzione totale) e 67.969 nuovi posti di lavoro (49% nel Mezzogiorno). Le sfide per le utility meridionali includono la transizione energetica, l'economia circolare e l'adattamento ai cambiamenti climatici. Le proposte per affrontare queste sfide comprendono l'adozione di testi unici per le autorizzazioni, il potenziamento delle strutture pubbliche, la revisione delle concessioni idroelettriche e la pianificazione di reti elettriche resilienti.

Nel settore dei rifiuti, è necessario accelerare il processo amministrativo e autorizzativo per ridurre il deficit infrastrutturale tra Nord e Sud, considerando le direttive del Programma nazionale di gestione dei rifiuti. L'effetto del Pnrr per un'economia decarbonizzata rappresenta un'occasione unica per il Mezzogiorno, ma è essenziale aumentare gli investimenti pubblici e privati nei settori dell'energia, dei rifiuti e dell'acqua, allineandoli ai livelli europei.

Inoltre, la necessità di superare le gestioni in economia nei settori idrico e ambientale, semplificare i procedimenti autorizzativi e
promuovere partenariati tra soggetti industriali è fondamentale per affrontare le sfide e massimizzare i vantaggi delle economie di scala.

Il Rapporto Sud sottolinea anche le criticità come il ritardo infrastrutturale e i problemi di governance, che richiedono azioni concrete per promuovere lo sviluppo sostenibile nel Mezzogiorno.

Ancora ritardi nel ciclo dei rifiuti, ma ci sono le eccezioni

Per conseguire gli obiettivi fissati dal pacchetto europeo sull’economia circolare al 2035, servono nel nostro Paese anche nuovi impianti per il recupero energetico delle frazioni non riciclabili. È quanto emerge dallo studio Rifiuti urbani, fabbisogni impiantistici attuali e al 2035, realizzato da Utilitalia. Lo studio si basa sui dati forniti dal Rapporto 2022 di Ispra sui rifiuti urbani che si riferisce ai dati del 2021. Gli attuali impianti di trattamento dei rifiuti urbani sono numericamente insufficienti e mal dislocati sul territorio, costringendo il nostro Paese a continui viaggi dei rifiuti tra le regioni e a ricorrere in maniera ancora eccessiva allo smaltimento in discarica. Senza una decisa inversione di tendenza sarà impossibile raggiungere i target Ue che prevedono sul totale dei rifiuti raccolti, entro 12 anni, il raggiungimento del 65% di riciclaggio effettivo e un utilizzo della discarica per una quota non superiore al 10%: al momento siamo ad un riciclaggio effettivo pari al 48,1% e ad un ricorso allo smaltimento pari al 19%.

Lo studio riguarda gli impianti di digestione anaerobica per il trattamento dei rifiuti organici e di recupero energetico per i rifiuti non riciclabili. Per i primi, sui quali da anni Utilitalia ha svolto azioni per promuoverne la realizzazione e sui quali pure è intervenuto il Programma nazionale di gestione dei rifiuti, un’analisi più puntuale sugli eventuali effettivi fabbisogni residui si potrà fare solo più in là nel tempo, dal momento che si sta registrando l’apertura di nuovi impianti e l’adeguamento di altri già esistenti. Resta invece ancora critica la prospettiva per il recupero energetico.

Considerando la capacità attualmente installata, se si vogliono centrare gli obiettivi europei e annullare l’export di rifiuti tra le aree del Paese, il fabbisogno impiantistico relativo alla termovalorizzazione ammonta a circa 2,35 milioni di tonnellate. Su base annua e nello specifico, il Nord risulterà in deficit di 150mila tonnellate; il Centro avrà bisogno di termovalorizzare ulteriori 1,15 milioni di tonnellate e il Sud avrà un fabbisogno di recupero energetico di 550mila tonnellate; per la Sicilia il deficit sarebbe di 550mila tonnellate e la Sardegna presenterebbe un deficit di 150mila tonnellate.

Le discariche sono il sistema di trattamento dei rifiuti con il maggiore impatto ambientale, soprattutto per le emissioni di gas serra. Tuttavia gli ultimi dati - relativi al 2021 - mostrano che sono state ancora smaltite in discarica 5,6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani; 940mila di questi sono stati trattati in regioni diverse da quelle di produzione. La vita residua delle discariche attive è in esaurimento: per il Nord si prospettano ancora 4/5 anni; per il Centro 3/4 anni; per il Sud peninsulare 2/3; per la Sardegna 1/2 anni e per la Sicilia circa un anno. Al momento l’Italia avvia a discarica una media del 19% dei rifiuti urbani, mentre l’Unione Europea ha stabilito di scendere al di sotto del 10% entro il 2035. A questo ritmo di conferimento saremo obbligati a scegliere se costruire nuovi impianti o continuare a portare i rifiuti in discarica, sottoponendo il nostro Paese a nuove procedure di infrazione. Entro pochi anni in mancanza di interventi, la chiusura delle discariche soprattutto al Sud farà ulteriormente aumentare il numero dei viaggi della spazzatura verso gli impianti del Nord o all’estero.

Nel 2021 in Italia sono state prodotte 29,6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani. Circa 3,7 milioni sono state trattate in regioni diverse da quelle di produzione; il flusso viaggia principalmente dal Centro-Sud verso il Nord. Il Nord ha importato circa 2,12 milioni di tonnellate dalle aree del Centro-Sud e già oggi, grazie ai propri impianti, riesce quasi a conseguire (15,3%) i target di conferimento in discarica previsti dall’Ue per il 2035 (già ampiamente superato in quelle regioni come Lombardia e Emilia-Romagna che hanno dotazioni adeguate di impianti di termovalorizzazione). Il Centro è costretto a esportare il 17% (1,10 milione di tonnellate) della propria produzione di rifiuti, nonostante avvii già in discarica una percentuale estremamente elevata, pari al 34,2%, ma non in grado di garantire tutta la richiesta. Il Sud ha invece esportato 1,40 milioni di tonnellate che corrisponde al 23% della propria produzione di rifiuti ma solo per la disponibilità elevata di discarica, ora utilizzata per un’alta percentuale, pari al 35,1%.

La carenza e la cattiva dislocazione degli impianti è la prima causa dei viaggi dei rifiuti lungo la Penisola, con importanti costi in termini economici e ambientali. Per trasportare i 3,7 milioni di tonnellate di rifiuti trattati in regioni diverse da quelle di produzione, nel 2021 sono stati necessari 160mila viaggi di camion, pari a 89 milioni di chilometri percorsi: ciò ha comportato l’emissione aggiuntiva di oltre 55mila tonnellate di CO2 e 75 milioni di euro in più sulla Tari (il 90% dei quali a carico delle regioni del Centro-Sud). Solo nel 2022, oltretutto, l’Italia ha pagato circa 50 milioni di euro per multe dall’Ue per le inadempienze che sono state contestate sulla gestione dei rifiuti.

Una riduzione di 24mila viaggi di camion per il trasporto dei rifiuti verso gli impianti del Nord e all’estero, con un risparmio di 8mila tonnellate di CO2 equivalente e il soddisfacimento del fabbisogno energetico di 200mila famiglie, pari a circa 600mila abitanti, con la creazione di 150 nuovi posti di lavoro. Sono alcuni dei vantaggi connessi alla realizzazione del termovalorizzatore di Roma. Questo impianto – che sarà capace di gestire 600mila tonnellate annue – avrà impatti positivi non solo nel Lazio, ma anche su scala nazionale: verrà risolta la gestione dei rifiuti non riciclabili e degli scarti delle raccolte differenziate dell’area di Roma capitale, il Lazio sarà vicino all’autosufficienza nella gestione dei rifiuti non riciclabili e verrà dimezzato il fabbisogno impiantistico di recupero energetico del Centro Italia. Come emerge dallo studio, per raggiungere i target Ue che prevedono entro il 2035 il 65% di riciclaggio effettivo e un utilizzo della discarica per una quota non superiore al 10%, allo stato attuale il Centro avrà bisogno di recuperare energeticamente ulteriori 1,15 milioni di tonnellate di rifiuti e di trattare 650mila tonnellate di organico.

Tuttavia l’Italia è un modello per la raccolta della frazione umida dei rifiuti urbani, con risultati di gran lunga migliori anche di altri Paesi europei riconosciuti come all’avanguardia nel settore. Il Consorzio Biorepack è ultimo nato del sistema Conai e primo esempio al mondo di consorzio di riciclo dedicato al trattamento organico degli imballaggi in bioplastica e compostabile. Grazie al contributo di Biorepack e alla sinergia con le amministrazioni locali, la raccolta differenziata degli imballaggi compostabili ha raggiunto lo scorso anno il 60,7% dell’immesso al consumo. Un dato che ha già ampiamente superato sia l’obiettivo fissato al 2025 (50%) sia quello del 2030 (55%). I Comuni convenzionati con il consorzio sono oltre 3.700 (47,8% del totale) nei quali risiedono 38 milioni di abitanti (64% della popolazione nazionale). E agli enti locali convenzionati sono stati riconosciuti, nel solo 2022, corrispettivi economici per 9,3 milioni di euro. Nel 2022 l’industria delle plastiche biodegradabili e compostabili è rappresentata da 271 aziende – suddivise in produttori di chimica di base e intermedi (5), produttori e distributori di granuli (19), operatori di prima trasformazione (182), operatori di seconda trasformazione (65) – un volume di 127.950 tonnellate di manufatti compostabili prodotti (+2,1% sul 2021 e con un tasso di crescita tra 2012 e 2022 del 226%) e un fatturato complessivo di 1.168 milioni di euro (+10,1% sul 2021 e un tasso di crescita media annua del 10% dal 2012, quando era di 370 milioni). Gli addetti, ovvero le risorse che nelle aziende del comparto si occupano direttamente dei prodotti che entrano nella filiera delle plastiche compostabili, sono 3.005 (+3,8%), cresciuti del 135% in poco più di dieci anni.

Mentre sono poco più di sei su dieci i Raee-Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, sia di grandi che di piccole dimensioni, che una volta usciti dalle nostre case seguono il percorso che porta a un impianto accreditato in grado di garantirne il corretto riciclo. Migliorare la qualità e la quantità della materia prima riciclata ottimizzando la logistica e facilitando il recupero degli imballaggi degli elettrodomestici, con importanti benefici ambientali: è questo l’obiettivo dello studio Analisi Lca comparativa: soluzioni per una reverse logistic sostenibile nel settore del packaging domestico realizzato da Interzero Italy per Erion Packaging, il Consorzio del Sistema Erion dedicato alla gestione degli Imballaggi correlati ai prodotti tecnologici.

Nel 2023 Erion Weee, Consorzio del Sistema Erion dedicato alla gestione dei Raee, ha gestito su tutto il territorio nazionale circa 232mila tonnellate di rifiuti, in diminuzione del 6% rispetto al 2022 (246mila tonnellate), un calo pari a due volte il peso della Torre Eiffel. I risultati si confermano in linea con la raccolta a livello nazionale, che vede l'Italia ancora troppo distante dai target indicati dall'Unione europea (circa 6 kg per abitante a fronte di un obiettivo pari a oltre 11 kg). Per quanto concerne il Consorzio, che gestisce oltre il 60% dei Raee domestici in Italia, la flessione riguarda soprattutto il Raggruppamento R3 (Tv e monitor) che, dopo la crescita esponenziale del 2021 dovuta all'effetto del 'bonus rottamazione Tv', prosegue nella sua parabola discendente segnando un -31% rispetto al 2022.

«Le ragioni di questo calo sono diverse, ma riconducibili a un disinteresse generalizzato verso il tema: i Raee vengono identificati come strategici per l'economia del Paese, eppure, di fatto, a parte poche iniziative promosse da singole realtà come Erion Wee, non vengono messe in atto azioni concrete e concertate a supporto della crescita del settore. Il trend negativo degli ultimi due anni, infatti, evidenzia ancora una volta il cuore del problema - spiega il Consorzio in una nota -. Accanto al Sistema Raee italiano che funziona e porta benefici al Paese c'è una zona grigia fatta di circuiti di gestione non ufficiali spinti, soprattutto, dal caro-materie prime (come ferro, rame e alluminio i cui valori sono cresciuti rispettivamente del 49%, del 48% e del 42% tra il 2020 e il 2023): operatori borderline e soggetti non autorizzati, agendo indisturbati, estraggono dai Raee le materie più facili senza curarsi dell'impatto ambientale del trattamento».

La risorsa acqua

L’acqua è un bene sempre più prezioso come evidenzia COP28, la conferenza Onu sul clima. Particolarmente in Italia, dove il consumo pro capite è il più alto d’Europa, con quasi 220 litri al giorno, e le perdite annuali di rete degli acquedotti superano il 40%. L’Italia è insomma un Paese con un alto stress idrico: c’è dunque bisogno di risorse e di personale qualificato per superare una situazione critica ma anche di un rafforzamento del ruolo di gestione e controllo da parte degli enti preposti, gli Ega-Enti di governo d’ambito, che rappresentano di fatto il luogo in cui si media tra le istanze dei cittadini e i progetti delle aziende che gestiscono il servizio idrico. È quanto emerge dal rapporto realizzato da Ref Ricerche, Oltre 20 anni di Servizio Idrico Integrato: il ruolo degli Enti d’Ambito” per conto dell’Anea-Associazione nazionale degli enti d’ambito.

Nonostante le criticità, il quadro del servizio idrico integrato registra un’evoluzione complessivamente positiva. All’inizio degli anni ‘90 il settore idrico era caratterizzato da un’alta frammentazione, con più di 7mila operatori attivi nelle diverse fasi della filiera e situazioni estremamente diversificate nella qualità dei servizi offerti ai cittadini. Oggi gli Ega garantiscono la copertura di circa l’80% della popolazione e gli investimenti nel settore si sono moltiplicati per cinque. A 30 anni dalla nascita del Servizio Idrico Integrato, la maturità raggiunta dal sistema di governo locale e dalle gestioni, grazie anche alla regolazione Arera e al consolidamento degli operatori, ha permesso un livello di investimenti programmati che ha raggiunto i 70-80 euro pro capite, rispetto ai 10-20 euro del periodo pre-regolazione, con un tasso di realizzazione che si avvicina al 100%.

Dall’indagine, cui hanno partecipato 36 Ega distribuiti da Nord a Sud che rappresentano 47 milioni di abitanti, tra le principali difficoltà che impediscono la piena operatività degli enti emerge in modo trasversale un deficit di risorse umane, tanto grave da rendere difficile ottemperare alle proprie funzioni istituzionali. Quanto agli Ega di più recente istituzione, le principali difficoltà sono legate ad aspetti operativi/istituzionali che richiedono un immediato intervento e l’attivazione dei poteri sostitutivi da parte delle Regioni. Servono insomma alti livelli di professionalità oltre che un aumento di almeno il 30% in più di figure in pianta organica.

Infine si è conclusa la prima edizione del master di I livello in Tutela e gestione della risorsa idrica presso l'Università Ca' Foscari di Venezia. Ventidue i partecipanti che si sono riuniti nell'Aula Magna Silvio Trentin dell'Ateneo per ricevere il riconoscimento formale del lavoro svolto nel corso dell'anno accademico 2022-23. Per un totale di 300 ore di formazione e con il supporto di docenti altamente qualificati, i dipendenti delle aziende aggregate in Viveracqua e di altre utility, oltre che giovani talenti desiderosi di approcciarsi a un settore in continua evoluzione, hanno affrontato un percorso interdisciplinare di alto livello. Il percorso formativo è stato strutturato con l'obiettivo di fornire tutte le competenze necessarie a operare efficacemente nell'ambito del servizio idrico integrato e, in generale, della tutela della risorsa idrica e del territorio, spaziando tra moduli giuridici, economici, ingegneristici, ambientali, finanziari ed etici.

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