martedì 7 febbraio 2023
Intervista a Gianmatteo Manghi, Ad di Cisco Italia, che dice: «L'Italia sulla cybersecurity non è indietro». Centrale il ruolo dell'Agenzia nazionale creata dal governo Draghi
Gianmatteo Manghi, amministratore delegato di Cisco Italia

Gianmatteo Manghi, amministratore delegato di Cisco Italia - Cisco Italia

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Il grande attacco hacker ai sistemi europei è arrivato in un momento di relativa quiete: le cronache di grandi aziende sotto ricatto di pirati informatici si erano fatte più rare negli ultimi mesi, dopo che nel 2020 si erano moltiplicati gli attacchi ransomware, quelli attraverso cui gli hacker bloccano i sistemi informatici di un’organizzazione e chiedono un riscatto (quasi sempre in criptovalute) per liberarli. In Italia nel giro di pochi mesi erano state colpite quattro grandi imprese come Geox, Enel, Luxottica e Campari. Le scorribande dei pirati informatici sono proseguite anche negli ultimi mesi (la scorsa primavera è toccato per esempio a Ferrovie) ma i successi degli hacker sono meno frequenti. «Questo non succede perché gli attacchi informatici sono diventati più rari, anzi, noi ne registriamo circa 20 miliardi al giorno» avverte Gianmatteo Manghi, amministratore delegato di Cisco Italia. Piuttosto, spiega il manager della filiale italiana del gruppo tecnologico americano da 52 miliardi di dollari di fatturato, «le imprese hanno imparato a difendersi meglio».

La cibersicurezza è una delle grandi aree di attività di Cisco, che è in Italia da quasi trent’anni, dove storicamente si è occupata di reti e oggi è sempre più impegnata sul fronte del cloud e dei sistemi per la collaborazione nello spazio digitale (si va dai sistemi per le videoconferenze a varie forme di “metaverso”). Manghi non condivide la retorica nazionale del cronico ritardo tecnologico: «Come esposizione e preparazione per difendersi dagli attacchi informatici l’Italia non è differente rispetto agli altri Paesi europei e occidentali – spiega il manager –. In particolare negli ultimi anni è cresciuta molto da parte delle aziende la consapevolezza dell’importanza di investire per proteggere i propri sistemi». Non solo, secondo Manghi è stata fondamentale l’istituzione dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (Acn), introdotta dal governo Draghi nel 2021 e guidata da Roberto Baldoni, tra i massimi esperti italiani del settore.

Il 26 gennaio Cisco ha firmato un accordo con l’Acn per collaborare nel rafforzamento della sicurezza informatica in Italia. «L’Agenzia ha un ruolo importantissimo nella standardizzazione dei processi, nello scambio di informazioni, nelle certificazioni – spiega l’Ad di Cisco Italia –. Può consentire al Paese di crescere digitalmente proteggendo i propri asset». Cisco, naturalmente, lavora alla protezione dei propri clienti, ma fa anche la sua parte per rafforzare le difese informatiche di tutta l’Italia. Da un lato lavora con le scuole: ne sostiene 350 tra istituti tecnici statali (gli Itis) e istituti tecnici superiori (quelli post-diploma), oltre ad avere avviato corsi in otto carceri. «Complessivamente abbiamo formato oltre 60mila persone e ne abbiamo certificate 50mila » segnala Manghi. Circa 500 ricercatori della filiale italiana del gruppo americano, poi, dedicano le loro giornate a individuare le minacce che arrivano dalla rete e condividono le informazioni raccolte con altri soggetti per rafforzare le difese informatiche comuni.

Il presente digitale, davanti a questi miliardi di attacchi quotidiani, fa un po’ paura. Soprattutto se si pensa a quanto tempo della vita quotidiana le persone trascorrano su smartphone collegati alla rete. Non solo le imprese: anche ogni individuo deve imparare a proteggersi. « A volte si casca in tranelli sorprendenti per la loro semplicità: durante il Covid c’era chi aveva fatto siti in cui offriva i moduli di autocertificazione con attaccati dei trojan… – dice Manghi –. In Cisco lavoriamo sui minori, abbiamo sessanta volontari che vanno nelle scuole e formano genitori, insegnanti e alunni a usare Internet in modo consapevole». Ma in realtà nonostante le minacce si moltiplichino, abbiamo sistemi sempre più sicuri. « Lavoriamo per arrivare a quello che chiamiamo un sistema senza password. Attraverso sistemi biometrici, la localizzazione degli utenti, la verifica dei comportamenti possiamo arrivare a sistemi di riconoscimento estremamente sicuri senza bisogno di inserire una password» conclude Manghi, facendo capire che si parla di un futuro molto più vicino di quanto si possa immaginare.

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