venerdì 27 maggio 2016
A oggi più del 50% delle imprese italiane ha all’attivo un piano in una delle aree del "benessere", tali percentuali sono destinate a crescere sensibilmente grazie anche alla legge di Stabilità 2016 (nella foto Claudia Giambanco, Med Regional leader Pas di Ey).
Così il welfare sta cambiando la cultura aziendale
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"Dalle recenti indagini e piani di welfare, le aree di maggiore interesse riguardano l’educazione, l’assistenza alla famiglia - tra cui asili nido, borse di studio, baby sitter e testi scolastici - così come l’area ricreativa - palestre, viaggi, teatri - che andranno sempre più a svilupparsi anche grazie al recente ampliamento dell’agevolazione fiscale". Lo sostiene Claudia Giambanco, Med Regional leader Pas di Ey, società di consulenza impegnata a diffondere la cultura del 'benessere' nelle imprese.  Nel contesto attuale, infatti, il ruolo delle aziende nell’erogazione di prestazioni di welfare è cresciuto. Il welfare aziendale è una tendenza che non riguarda solo le grandi organizzazioni. Sono sempre più numerose le piccole e medie imprese che hanno deciso di attivare piani aziendali per migliorare il benessere dei lavoratori; retribuirli con i servizi mira ad aumentare la fidelizzazione e il senso di appartenenza all'azienda, oltre che migliorare la qualità del lavoro e la produttività. A oggi più del 50% delle aziende italiane ha all’attivo un piano in una delle aree del welfare, tali percentuali sono destinate a crescere sensibilmente grazie anche alla legge di Stabilità 2016 che ha ampliato gli ambiti del welfare in cui l’azienda può fruire di benefici fiscali; la maggioranza delle imprese ha infatti potuto investire in welfare perché compensate dai vantaggi fiscali. A cominciare dal sostegno ai giovani lavoratori che già pensano a fondi e assicurazioni per incrementare le pensioni future. "A mio avviso - sottolinea Giambanco - la risposta è nello stesso significato del termine, previdenza è la qualità di chi si premunisce, si tutela per tempo da possibili future difficoltà. Perché i giovani tornino a pensare di gettare basi solide e ad investire sul loro futuro, è necessario rendere il loro presente lavorativo quanto più stabile possibile e dare loro contezza del ritorno del loro investimento. In quest’ ottica non aiuta di certo l’attuale scenario lavorativo contraddistinto da un sempre più tardivo accesso al lavoro e da rapporti di lavoro interrotti e discontinui, con l’incertezza pensionistica che ne può derivare. Si deve pertanto lavorare garantendo e favorendo l’occupazione dei giovani con un riordino del sistema pensionistico che recepisca i cambiamenti del mercato del lavoro e le sue differenze rispetto al passato, ma che sia soprattutto certo.   Le nuove generazioni hanno grandissime potenzialità, bisogna lavorare per stimolarla e dare loro gli strumenti per immaginare il futuro, interpretarlo ed affrontarlo con speranza. Con impegno comune dobbiamo parlare ai giovani non per trasmettere timore, ma fiducia e ottimismo. In questo momento l’impegno dovrà essere trasversale, cosi come sarà necessario avviare percorsi formativi ed informativi nelle aziende, soprattutto tra le nuove generazioni che si affacciano al mondo del lavoro".   Ad oggi la maggior parte delle politiche retributive considerano componenti non monetarie focalizzate sul tema del welfare aziendale. I pacchetti retributivi tendono sempre più ad arricchirsi di elementi non tangibili, che contribuiscono direttamente ad un aumento del benessere del dipendente e della propria famiglia, ed indirettamente ad una “fidelizzazione” del dipendente all’azienda. Tra questi particolare attenzione viene spesso data a forme di previdenza e assistenza complementare (per esempio fondi pensione integrativi, assistenza medica integrativa, eccetera) quali componenti non monetarie.     La cultura del welfare aziendale, comunque, sta già prendendo piede. In primo luogo, perché ne è cresciuta la domanda da parte dei dipendenti, che si mostrano sempre più sensibili al tema, in secondo luogo  perché le nuove misure introdotte, in particolare con la legge di Stabilità, hanno incentivato l’utilizzo degli strumenti del welfare, rendendolo accessibile e alla portata non solo delle grandi, ma anche delle medie e piccole imprese. Con la leva fiscale oggi, il lavoratore può ricevere opere e servizi non imponibili a titolo di premio di produttività con un risparmio anche per l’azienda. "Perché questo strumento possa affermarsi con più forza presso le nostre realtà aziendali - afferma la consulente - è sicuramente necessaria una comunicazione chiara da parte delle aziende del piano di welfare aziendale, che si è scelto di adottare, e dei suoi benefici,  nonché un’analisi attenta delle esigenze della propria popolazione dipendente, affinché il piano di welfare sia a esse rispondente".   Un aspetto particolare di welfare riguarda i percorsi dei dipendenti italiani all’estero. Il trasferimento di un lavoratore all’estero rappresenta un momento chiave per la sua carriera, che deve per forza di cose essere pianificato fornendo delle chiare linee guida. È molto importante costruire insieme al dipendente, che si accinge a intraprendere una carriera internazionale, un percorso di sviluppo professionale, che tenga conto del progetto estero, in termini di acquisizione di competenze e che esplichi in maniera chiara come questo possa essere funzionale alla propria crescita professionale anche nell’ottica di un successivo reinserimento nella struttura organizzativa di provenienza. In un contesto di mobilità internazionale, inoltre, non sono meno irrilevanti gli aspetti legati alle differenze culturali, che, se non affrontati adeguatamente dall’azienda, potrebbero incidere negativamente sulle performance del dipendente.  A tal proposito, nel tempo, si sono rivelati di grandissima utilità incontri di formazione culturale con il dipendente, che siano volti ad illustrare usi e costumi locali, nonché le modalità di interazione del Paese di destinazione. Non da ultimo, particolare attenzione va posta all’aspetto retributivo e alle variabili fiscali e previdenziali connesse; sempre più spesso, infatti, le aziende hanno annullato la variabile fiscale adottando politiche di neutralità. Queste ultime permettono di gestire al meglio il percorso all’estero sia per il dipendente che troverà giovamento nella semplificazione dell’aspetto fiscale, che rimarrà sostanzialmente quello del suo paese di origine,  sia per l’azienda, evitando disparità di trattamento per il personale in mobilità internazionale. "Utile menzionare - conclude Giambianco - come da un punto di vista fiscale il reddito imponibile dei lavoratori all’estero viene quantificato, non tenendo conto della retribuzione effettivamente corrisposta, ma sulla base di retribuzioni convenzionali definite annualmente con decreto ministeriale. In molti casi si può parlare di una agevolazione in quando ad esempio se il datore di lavoro riconosce al dipendente dei fringe benefit, questi non vengono tassati autonomamente, in quanto ricompresi forfettariamente nella retribuzione convenzionale".
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