mercoledì 24 giugno 2015
​La Consulta: è illegittimo. Ma la sentenza non è retroattiva, scongiurato maxi-buco. I sindacati: il governo non ha più alibi.
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​Il blocco dei contratti del pubblico impiego attuato negli ultimi 6 anni è illegittimo, secondo la Corte Costituzionale. Ma la sentenza decorre dalla sua pubblicazione e dunque non vale per il passato. Con un pronunciamento che dà ragione in linea di principio alle rivendicazioni dei sindacati, la Consulta evita così al governo di dover risarcire gli statali per i mancati aumenti, un’operazione che secondo l’avvocatura dello Stato poteva costare fino a 35 miliardi. Il terremoto sui conti pubblici è quindi scampato. Ma ora il governo non potrà più sottrarsi al rinnovo del contratto. Un adempimento che produrrà i suoi effetti a partire dal 2016, ma non si può escludere possa avere ricadute già sulla seconda metà del 2015, essendo la sentenza subito esecutiva.Positive le reazioni dei sindacati. Le federazioni dei lavoratori pubblici di Cgil, Cisl e Uil chiedono «l’apertura immediata di un tavolo per arrivare al rinnovo del contratto subito» e rilevano che dopo il pronunciamento dell’Alta Corte «il governo non può può nascondersi e non ha più alibi». «La sentenza della Consulta che ha dichiarato illegittimo il blocco dei contratti pubblici – aggiunge il segretario della Cisl, Annamaria Furlan – cancella una palese ingiustizia che dura da ben sei anni». Non mancano però le voci critiche anche all’interno del sindacato confederale: Secondo la Uil Fpl, quella di ieri è una «sentenza politica» emessa «salvando il governo da una nuova batosta dopo quella delle pensioni», con conseguenze «gravissime» perché «è stato falcidiato il potere di acquisto» dei lavoratori pubblici.Dal Parlamento il presidente delle Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd) invita il governo ad «aprire un tavolo di negoziato con i sindacati», nel quale andrà affrontato «oltre al tema del salario anche quello dei premi di risultato che devono essere legati alla produttività». Anche il suo omologo al Senato Maurizio Sacconi (Ncd) chiede di puntare sull’aumento della produttività nel pubblico impiego e rileva che la riapertura del confronto «non significa immaginare costi contrattuali analoghi a quelli del passato».L’attesa e temuta sentenza è arrivata ieri pomeriggio, comunicata con una breve nota pubblicata sul sito della Corte. La Consulta «ha dichiarato l’illegittimità costituzionale sopravvenuta del regime del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico, quale risultante dalle norme impugnate e da quelle che lo hanno prorogato», afferma il comunicato, in cui si aggiunge che sono state respinte «le restanti censure proposte». Il ricorso contro il blocco dei contratti era stato presentato tra gli altri dal sindacato Confsal-Unsa e qualora accolto anche retroattivamente avrebbe comportato un esborso per i mancati adeguamenti contrattuali tra il 2010 e il 2015, calcolati in circa 35 miliardi, più un effetto strutturale di 13 miliardi annui a partire dal 2016, secondo la memoria presentata dall’Avvocatura dello Stato che difende il governo. Una stima che era stata però contestata dai sindacati che indicavano in circa 14-15 miliardi il peso reale degli arretrati. Comunque sia l’impatto finanziario della sentenza di ieri è molto più contenuto. Ma non irrilevante. Nel Documento di economia e finanza (Def) dello scorso aprile, il Tesoro aveva stimato che rinnovare i contratti avrebbe un costo stimabile in circa 1,6 miliardi nel 2016, cifra destinata a salire negli anni successivi. Il blocco del rinnovo dei contratti per i lavoratori del pubblico impiego è stato inserito da vari governi in decreti per il risanamento dei conti pubblici a partire dal 2009.La Consulta «ha dichiarato illegittimo il protrarsi del blocco dei contratti del pubblico impiego» commenta l’ex presidente della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli, che evidenzia come sia stata usata «una formula che indica non l’illegittimità originaria della norma ma una illegittimità sopravvenuta». Ora, aggiunge Mirabelli, «sarà rimessa alla contrattazione la determinazione dei contenuti economici che deve essere nuovamente aperta nel rapporto tra governo e sindacati». Negli ultimi mesi la Consulta è intervenuta tre volte per bocciare norme che incidono sulla spesa pubblica. Nel primo caso ha dichiarato l’illegittimità della Robin tax, ma ne ha salvato gli effetti sul passato. Più di recente ha bocciato il blocco della rivalutazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo, stabilendo in questo caso una forma di rivalutazione anche retroattiva. A seguito di questa sentenza il governo è dovuto intervenire prevedendo un rimborso parziale delle mancate rivalutazioni, decrescenti in base al reddito. Un’operazione che ha comportato una maggiore spesa per circa 1,8 miliardi di euro nel 2015.
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