mercoledì 21 giugno 2017
Bloccati tutti i progetti in corso tra i quali la costruzione di otto nuovi reattori. Il Paese importa il 96% dell'energia necessaria ma adesso si punta a quelle alternative
Energia nucleare, la svolta del presidente Moon Jae-in
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La Corea del Sud, uno dei maggiori utilizzatori al mondo di energia nucleare e tra quelli più promettenti nella produzione e evoluzione della tecnologia energetica basata sull’atomo ha deciso di cambiare rotta, con una brusca sterzata verso le energie alternative.

Lunedì il presidente sudcoreano Moon Jae-in, in carica solo dal 10 maggio dopo una campagna centrata sui temi sociali, ambientali, sulla moralizzazione e sulla distensione con l’avversario nordcoreano ha annunciato il blocco dei progetti di sviluppo del nucleare civile e la rinuncia a estendere la prevista durata dell’operatività delle centrali già attive nel Paese. Non del tutto inattesa, ma una decisione in qualche modo clamorosa, perché l’impegno ecologista di Moon, avvocato e attivista cattolico, si era rivolto prevalentemente verso la riduzione della dipendenza energetica da combustibili fossili e atomo senza però puntare decisamente su quest’ultimo.Una cautela iniziale che ha avuto sicuramente a che fare con la situazione energetica della Corea del Sud, i cui 25 reattori in sette impianti forniscono circa il 30 per cento dell’elettricità e di fatto un contributo al momento insostituibile per alimentare la fame energetica del suo apparato produttivo, centrale nel farne la quarta economia asiatica e la 12ma mondiale.

Un ruolo emergente accentuato dall’esportazione di tecnologia e di impianti chiavi in mano in diversi Paesi secondo un piano approvato nel 2010 per la costruzione all’estero di 80 reattori entro il 2030 per un valore complessivo di 400 miliardi di dollari. Allo stato attuale, quella presidenziale sembra quindi una mossa “controcorrente”, data la “fame” di energia del sistema-paese e l’esperienza maturata nel nucleare. In linea però con la crescente sensibilità ambientale, interessata a una sostituzione di fonti sicuramente o potenzialmente rischioso per la sicurezza e la salute di una popolazione di 51 milioni di individui che vive compatta su un territorio equivalente a un terzo di quello italiano.

Una posizione che impone al Paese rischi da bilanciare con la dipendenza dalle fonti di approvvigionamento straniere, dato che la Corea del Sud importa il 96 per cento dell’energia che le è necessaria. Ciononostante, lo stesso Moon Jae-in aveva promesso in campagna elettorale di ridurre entro il 2030 la dipendenza dal nucleare al 20 per cento della produzione elettrica complessiva, puntando sullo sviluppo di una quota equivalente da fonti alternative. Il presidente ha anche mantenuto la promessa di rivedere la costruzione di otto nuovi reattori, di cui due, quelli di Shin Kori 5 and Kori 6, già in costruzione. Per annunciare di volere fermare “il piano energetico basato sull’energia atomica per aprire la strada a un’era libera dal nucleare” Moon ha scelto la centrale di Kori, presso la seconda città del Paese, Pusan, – il cui reattore numero 1 è stato il primo a raggiungere e 40 anni previsti e a essere chiuso alla mezzanotte di domenica. “Ritireremo i progetti attuali per la costruzione di nuovi impianti e non estenderemo la durata della vita prevista per i vecchi”, ha aggiunto.

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