sabato 27 maggio 2023
Il Centro studi degli industriali nel suo rapporto trimestrale contesta la tesi della Banca centrale europea: crescita totale del 3,5%, manifattura, servizi e costruzioni con il segno negativo
Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi

Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi - Ansa

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Confindustria assolve le aziende italiane: non hanno fatto ricavi record approfittando, anzi speculando, sulla corsa dei prezzi di materie prime ed energia. La tesi, supportata dalla Bce, secondo cui l'inflazione abbia origine dai profitti delle aziende che avrebbero cavalcato con i loro prezzi di vendita i rincari di gas e di elettricità in maniera ben maggiore dei costi, ostaclando così la loro discesa già nel 2023 e stimolando un prolungamento della stagione di tassi di interessi più alti, non si può applicare alla situazione italiana. A dirlo sono i dati messi nero su bianco dal Centro studi degli industriali, nel suo rapporto trimestrale, che sostengono un ragionamento e delle conclusioni diversi da quelli della banca centrale.

"La dinamica dei profitti unitari in Italia è stata molto diversa. La crescita totale è molto più bassa che nell'Eurozona: pari al 3,5% rispetto al 2021. I settori che hanno registrato aumenti significativi sono l'energetico-estrattivo e il commercio (+8%). Al contrario, in Italia hanno subito una flessione dei profitti unitari sia i servizi (-2,6%) che le costruzioni (-3,8%) e la manifattura ha visto un forte calo (-8,1% in media nel 2022), e questo nonostante il recupero nell'ultimo trimestre", annotano gli economisti di viale dell'Astronomia.

"La tesi dunque per cui l'aumento dei profitti ha alimentato l'inflazione non si applica pienamente all'Italia. I dati Istat sul markup manifatturiero forniscono la stessa indicazione: caduta da inizio 2021, solo parziale recupero a fine 2022. Un'analisi recente della Commissione Ue, contenuta nell'ultimo Outlook, giunge a risultati analoghi: mostra che in tutti i paesi europei, nel 2022, i profitti unitari hanno contribuito molto al balzo dell'inflazione (cioè alla crescita del deflatore del Pil), tranne, proprio, che in Italia", conclude il rapporto.

Diversi i fattori che possono spiegare questa anomali italiana: il maggior aumento dei costi energetici; la minore dimensione delle imprese, che potrebbe limitare il potere di mercato; maggior peso di settori a valle, a contatto con i consumi compressi; strategie di prezzo mirate per sostenere i volumi.

Per quanto riguarda invece l'Eurozona, nel 2022, sottolinea il Centro Studi, c’è stato in effetti un aumento considerevole dei profitti unitari (in media dell'8,1%) con picchi per il commercio (19,4%), le costruzioni (17,6%) e i settori energetici-estrattivi (43,4%). Nella manifattura i profitti unitari sono cresciuti del 10,3%. Nei servizi, invece, c'è stata una sostanziale stabilità.

Nella Congiuntura flash si evidenzia come la crescita dell'Italia prosegua nel secondo trimestre ma a ritmi più moderati, trainata dai servizi, mentre è meno solida la situazione di industria e costruzioni. L'inflazione è persistente come previsto (8,2% annua ad aprile), i tassi di interesse salgono (sono al 4,3% per le imprese) e i prestiti diminuiscono. Dai consumi arrivano segnali misti, mentre gli investimenti crescono in maniera lenta. Tutta l'Eurozona mostra segni di debolezza, mentre negli Usa riparte l'industria. Frena la Cina, cresce invece l'India.

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