martedì 30 agosto 2011
In vigore da otto mesi, la legge bipartisan sul rientro dei «cervelli» fa i conti con critiche e difficoltà di applicazione. Il ritorno? Con incentivi fiscali per tre anni.
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Il controesodo è da bollino rosso. Non per traffico in tilt ma per "confusione" legislativa. Il controesodo non è quello delle vacanze. Ma dei cervelli in fuga da anni che una legge bipartisan prova a far tornare attraverso uno «scudo fiscale». Si stima che i giovani che lasciano l’Italia ogni anno siano 60mila, il 70% laureati. Negli ultimi vent’anni i nostri talenti all’estero hanno prodotto brevetti per un valore di 4 miliardi di euro. Un patrimonio umano ed economico. Il ritorno, secondo la legge, sarebbe incentivato da una fiscalità di vantaggio per tre anni: il talentuoso under 40, all’estero da almeno due anni, usufruirebbe di una riduzione della pressione fiscale non da poco, pagando le tasse sul 20% (per le donne) e sul 30% (per gli uomini) dell’imponibile, nel momento in cui sceglie di tornare a lavorare in Italia. La legge n. 238 del 30 dicembre 2010, ribattezzata appunto «Controesodo», rientra in un progetto ideato dai deputati del Pd Guglielmo Vaccaro e Alessia Mosca, promosso dall’associazione TrecentoSessanta, che fa riferimento ad Enrico Letta, e che ha trovato un sostegno bipartisan in Parlamento, con la firma di molti esponenti del centrodestra fra cui Stefano Saglia, Maurizio Lupi, Barbara Saltamartini, Beatrice Lorenzin. Presentata con grande enfasi in Italia e in molte comunità e università internazionali, non ha prodotto però ancora grandi risultati. L’iter successivo alla pubblicazione è stato lungo e solo a giugno il ministero dell’Economia ha emanato il decreto attuativo. La legge è adesso pienamente operativa. Formalmente. Ma i problemi e i dubbi non mancano: riuscirà davvero a raggiungere l’obiettivo? Quanti ne usufruiranno? È questa la strada? Le risposte non sono così scontate. Sono molte le faglie nel testo che lasciano perplessità, così come si evince anche dai blog e i siti che sono nati attorno alla legge (che riportiamo in basso). C’è un aspetto temporale: il requisito dei due anni di permanenza all’estero deve essere maturato prima del 20 gennaio 2009. In questo modo praticamente un giovane emigrato nel 2008 e ancora all’estero non ne potrebbe usufruire, mentre paradossalmente un «cervello» rientrato a prescindere dalla legge lo scorso anno, avendo maturato i requisiti richiesti invece (e giustamente) sì. C’è un aspetto di merito: può bastare uno scudo fiscale a far rientrare i nostri talenti? E ammesso che questo basti, resta un punto controverso: la legge offre uno «scudo fiscale» di tre anni, ma chiede a chi ne usufruisce di restare in Italia per almeno cinque. Il vantaggio economico può essere interessante nell’immediato, ma non è così interessante se si guarda al lungo periodo, visto che all’estero si guadagnano cifre di ben altro livello rispetto agli stipendi italiani. Senza contare la perdita in termini di servizi e di welfare rispetto ad alcuni Paesi decisamente più avanzati sul fronte famiglia che ridurrebbero non poco la qualità della vita. Un altro aspetto è formale e burocratico: l’Agenzia delle Entrate ha emanato il 29 luglio delle disposizioni, ma non sono del tutto chiare le procedure (il chi, come, dove, quando) si lamenta il popolo della Rete. Così il rischio è che la legge – che prevede incentivi fino al 2013, mentre il 2011 è praticamente già andato – possa rivelarsi un flop.«Con questa legge, una delle poche di iniziativa parlamentare approvate in questa legislatura – spiega la deputata del Pd, Alessia Mosca, difendendo lo spirito e la bontà del provvedimento – offriamo ai giovani l’opportunità di una fiscalità agevolata. È un atto concreto volto ad affrontare il grande problema dell’emigrazione giovanile che sottrae forza, talento, idee e futuro all’Italia». Alle critiche la Mosca risponde così: «È soltanto un primo passo per arrivare magari alla creazione di un quadro normativo più ampio che trasformi davvero i flussi migratori in opportunità». Il giovane deputato non nega i ritardi, ricorda che non sta al governo, e puntualizza: «Con i decreti attuativi, la legge è ormai pienamente operativa. Ci sono difficoltà, problemi interpretativi, è vero: per questo a breve presenteremo una interrogazione parlamentare che invita il ministero a sgombrare il campo da ogni dubbio nei casi più controversi. Credo dobbiamo guardare però all’aspetto positivo: che siamo riusciti cioè a portare al traguardo una legge che apre nuove opportunità per i nostri talenti in Italia e all’estero. Sappiamo bene che non è certo questa legge che può risolvere tutti i problemi e i deficit strutturali dell’Italia, per la prima volta però si fa qualcosa che parla direttamente ai giovani talenti fuggiti all’estero. Le critiche arrivano soprattutto da quanti sono arrabbiati – aggiunge –. Da chi si è visto costretto ad andare e prova astio verso il nostro Paese e la sua classe politica. Ma ci sono anche reazioni positive di chi crede che sia comunque un’opportunità. Penso alle imprese che invece possono guardare a un bacino di giovani all’estero e che possono offrire loro nuove occasioni». Ma c’è di più. «Si sono mosse anche le città. Per esempio Milano – spiega Alessia Mosca – sta vedendo come poter rafforzare le azioni con incentivi comunali a livello di welfare, di sportelli unici, di pressione fiscale per attivare meccanismi a sostegno di chi usufruisce della legge. Che è chiaro, va rafforzata. Ma il passo è stato fatto». Un passo per sostenere i giovani. A passo lento, purtroppo. Mentre i cervelli vanno via ancora.
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