giovedì 2 giugno 2022
il grano è diventato un elemento chiave del conflitto scoppiato il 24 febbraio con l’invasione russa dell’Ucraina. Si rischia una tragedia mondiale. Libano già in crisi. Prime rivolte in Africa
Grano ucraino. Impossibile esportarlo

Grano ucraino. Impossibile esportarlo - Reuters

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A un passo dai 100 giorni di guerra (oggi sono 99) è ormai evidente che il grano è diventato un elemento chiave del conflitto scoppiato il 24 febbraio con l’invasione russa dell’Ucraina. Se si considerano gli impatti geopolitici ed economici sul piano internazionale, possiamo dire che la questione legata al cereale ha conseguenze addirittura più pesanti di quelle connesse al gas e al petrolio. Quella energetica, del resto, è una potenziale emergenza soprattutto europea, non tanto mondiale. La "guerra del grano", invece, rischia di aggravare la crisi alimentare globale, con effetti drammatici – oltre 250 milioni di nuovi poveri assoluti a fine anno – soprattutto in Africa e in Medio Oriente, aree del mondo dove è già scattato l’allarme carestia.

I numeri dell’export e della produzione a rischio

A rendere cruciale il tema del grano sono anzitutto i numeri. Basti dire che i due Paesi in guerra coprono insieme un terzo dell’export mondiale. Solo l’Ucraina esporta un quinto della produzione di grano e mais (non a caso viene definita "il granaio d’Europa"). Il problema di fondo è che, con il conflitto in corso, finora è stto impedito a gran parte del cereale ucraino di uscire dal Paese.

Nonostante le recenti aperture di Vladimir Putin, la situazione non è cambiata. Tanto che dal Cremlino proprio ieri hanno fatto sapere che «non sono stati raggiunti accordi specifici sulla questione dell’esportazione di grano dai porti del Mar Nero».

Si calcola che attualmente nei porti e nei granai della aziende siano fermi circa 25 milioni di tonnellate di grano dell’ultimo raccolto. Con la nuova produzione presto potrebbe aggiungersi una quantità simile, se non superiore, a quella che c’è già. «L’80% della terra arabile è stata seminata regolarmente, e la produzione del 2022 sarà paragonabile a quella del 2021, anche se mancano il concime e il combustibile per i trattori – ha riferito nei giorni scorsi il ministro ucraino del commercio estero Taras Kachka –. Siamo in grado di esportare in tutto il mondo un volume di grano comparabile a quello dell’anno scorso, ma il problema è che non può uscire dal Paese». Se la situazione non dovesse sbloccarsi a stretto giro, quel grano rischierebbe di marcire.

Via acqua o via terra: le rotte possibili

Lo sblocco dei porti diventa un fattore determinante, anche perché la quasi totalità del grano ucraino viene esportato via mare. Le alternative esistono, ma sono poco praticabili. Per esempio l’idea di far uscire dal Paese il grano ucraino dai 4 porti fluviali del Danubio non può garantire carichi mensili superiori alle 300mila tonnellate.

L’ipotesi avanzata dall’Europa e più in generale dall’Occidente di prevedere trasporti via terra, con transiti ferroviari attraverso Romania e Polonia, presenta alcune incompatibilità (diversa larghezza delle rotaie) e parecchie difficoltà logistiche. Senza considerare l’opportunità "politica" di far passare i treni carichi di grano ucraino dalla Bielorussia, Paese troppo in sintonia con Mosca. Insomma, le alternative sembrano esserci solo in teoria.

Scambi di accuse sulle mine nel mar Nero

La soluzione principale resta quella di liberare i carichi di grano e di cereali fermi nei porti ucraini, a partire da quello di Odessa. E qui entra il gioco il problema delle mine nelle acque del Mar Nero. Da settimane Mosca e Kiev si accusano a vicenda su chi abbia minato la zona e, dunque, su chi dovrebbe occuparsi di rimuovere gli ordigni, rendere sicura l’area e successivamente creare un corridoio per il passaggio delle imbarcazioni "alimentari".

L’operazione, a prescindere dall’accordo ancora "in alto mare", risulta particolarmente complessa. Il ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba, ha rivolto un’appello per lanciare un’azione internazionale nel Mar Nero «con l’aiuto di Paesi amici disposti a inviare le loro navi per sminare le acque e scortare il passaggio dei cargo, a cominciare da Odessa».

Il piano europeo in via di definizione

La proposta di effettuare missioni navali occidentali per scortare il grano è stata discussa anche nel Consiglio europeo straordinario di lunedì e martedì. L’Italia ha già garantito la sua disponibilità a partecipare. «La Marina italiana può offrire un contributo», ha assicurato il presidente del Consiglio Mario Draghi. «Abbiamo dato la nostra disponibilità per partecipare alle eventuali operazioni di sminamento», ha ribadito anche ieri il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

Nel corso del summit di Bruxelles i vertici europei hanno esaminato pure la possibilità di una risoluzione delle Nazioni Unite per fare da scudo alla missione navale nel Mar Nero che dovrà sminare le acque di Odessa e poi scortare le navi commerciali cariche di grano ucraino affindando il compito alla Turchia.

E ieri il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, ha riferito che «Putin e Erdogan hanno concordato che la Turchia contribuirà a organizzare lo sminamento dei porti ucraini». Il Cremlino, però, finora ha utilizzato il grano come uno strumento di ricatto, vincolando un’eventuale collaborazione alla cancellazione almeno parziale delle sanzioni.

Tanti Paesi poveri verso la carestia

Mentre lo stallo sul grano prosegue, alcune ricadute sono già tangibili nei Paesi più poveri. In Libano, che importava il 90% del grano da Russia e Ucraina, la crisi è già realtà.

In Africa sono scattate le prime rivolte di fronte alla carenza di grano e a un aumento dei prezzi del pane del 60%. Il presidente del Senegal e dell’Unione Africana, Macky Sall, nell’intervento al Consiglio Ue sul tema della sicurezza alimentare, ha parlato apertamente del «rischio di una carestia storica in Africa, legata alla guerra in Ucraina e al blocco delle esportazioni di grano dal Paese, e amplificata nel continente dalla penuria di fertilizzanti».

È un’emergenza nell’emergenza: «I due terzi della popolazione che soffre di malnutrizione già si trova in Africa», ha ricordato il presidente senegalese. Tutti gli indicatori segnalano un peggioramento della situazione all’orizzonte.

Secondo i calcoli della Banca africana di sviluppo, la guerra in corso alle porte d’Europa costa al continente circa 30 milioni di tonnellate in meno di grano, soia e mais. Africa e Medio Oriente sono e saranno le aree del mondo più colpite, ma più in generale il direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale dell’Onu, David Beasley, ha segnalato come, con il grano ucraino immobilizzato nei silos ,ci siano «44 milioni di persone nel mondo che stanno avviandosi verso la fame».

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