venerdì 18 giugno 2021
Con una società fittizia impiegavano in condizioni disumane centinaia di braccianti
Sette gli arrestati tra imprenditori e intermediari: tre in carcere e quattro ai domiciliari. Cinque aziende sono state sottoposte al controllo giudiziario

Sette gli arrestati tra imprenditori e intermediari: tre in carcere e quattro ai domiciliari. Cinque aziende sono state sottoposte al controllo giudiziario - .

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« Ibraccianti ci vedevano come nemici, fuggivano al momento del controllo, ci consideravano quelli che andavano a togliere quel poco di lavoro che avevano, pur se sfruttati. Ora sempre di più vedono l’intervento delle forze dell’ordine e della magistratura come opportunità di riscatto rispetto a una condizione di schiavitù ». È molto soddisfatto il procuratore di Foggia, Ludovico Vaccaro, commentando l’operazione “Schermo” che ieri ha portato all’arresto di 7 persone, tra imprenditori e “caporali” e al controllo giudiziario di ben 5 aziende nelle campagne del Foggiano e del Molise, tutte di grandi dimensioni. Centinaia di braccianti “reclutati” nei ghetti di Borgo Mezzanone e Torretta Antonacci e portati a lavorare in condizioni durissime. Il tutto nel pieno della pandemia, tra marzo 2020 e febbraio 2021. Due di loro, cittadini della Guinea Bissau, si sono fidati delle forze dell’ordine e dei magistrati e sono andati a denunciare le gravi condizioni di sfruttamento. È partita così l’inchiesta dei carabinieri che ha confermato quanto riferito dai due coraggiosi braccianti. In primo luogo la costituzione da parte di alcuni imprenditori di una società fittizia, come copertura di regolarità, che reclutava i lavoratori dei ghetti e li trasportava sui campi a bordo i mezzi scassati, strapieni.

Una “Cooperativa Schermo” che funzionava come un’agenzia interinale ma senza alcuna autorizzazione ministeriale, permettendo agli imprenditori agricoli di eludere le norme sul collocamento, non versando i contributi, riducendo così i costi del lavoro. Che era, oltretutto, pagato pochissimo. I braccianti venivano, infatti, pagati 5 euro l’ora o 4,50 a cassone di pomodori. Quando andava bene. Infatti la paga veniva tagliata di 50 centesimi ogni volta che un “caporale” interveniva perché il prodotto era stato raccolto male, era sporco o non venivano rispettati i tempi imposti. Il che accadeva molto spesso. Una vera condizione di schiavitù. Oltre al non rispetto dei riposi e delle ferie, i lavoratori non venivano sottoposti alla prevista visita medica (neanche in piena pandemia), e in alcuni casi rimanevano senza mangiare per molte ore e gli veniva fornita da bere “acqua di pozzo”. Sorvegliati dai caporali/ negrieri, sotto la minaccia di perdere parte delle già misere retribuzioni a cottimo. Senza alcun dispositivo di sicurezza: se lo volevano dovevano pagarselo. Ora per questi lavoratori la vita cambia. Si sono fidati e la Procura decidendo il controllo giudiziario delle 5 aziende, li metterà in regola e farà rispettare tutte le norme contrattuali e di sicurezza, senza far perdere il prezioso lavoro. «È un percorso di rientro nella legalità – spiega ancora Vaccaro –. Un metodo che sta dando molti frutti, e peraltro lo prevede la legge. Noi lo stiamo utilizzando sempre di più». Ma, aggiunge, «c’è ancora tanta strada da fare. Per ora riusciamo a colpire solo la punta dell’iceberg.

Ci vorrebbe maggior collaborazione del mondo imprenditoriale. Mettersi insieme per trovare degli strumenti leciti che consentano l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro, e risolvere il problema dei trasporti verso i luoghi di lavoro. Se non si risolvono questi problemi noi dovremo continuare a intervenire». L’importante operazione viene commentata positivamente dai sindacati. «Ha mostrato ancora una volta che i ghetti rappresentano una fonte di reclutamento per i circuiti del caporalato: vanno chiusi, e ai lavoratori vanno garantiti contratti, alloggi e trasporti dignitosi, come previsto anche dal Piano Triennale», afferma il segretario generale della Fai Cisl nazionale Onofrio Rota. Analoga riflessione di Giovanni Mininni, segretario generale Flai Cgil. «Sono necessari controlli sulle condizioni di lavoro, interventi sugli alloggi e il trasporto, nodi su cui si sviluppa il caporalato e lo sfruttamento da parte di intermediari e datori di lavoro senza scrupoli. Per questi motivi torniamo a chiedere che in tutta Italia siano istituite le Sezioni territoriali della rete del lavoro agricolo di qualità».

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