giovedì 27 luglio 2017
Dal discorso del "whatever it takes" di Londra che salvò l'Unione monetaria ci sono stati tanti progressi: dallo spread al Pil. Risultati ancora non sufficienti su lavoro e inflazione.
Il presidente della Bce Mario Draghi

Il presidente della Bce Mario Draghi

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Si dice che Mario Draghi abbia trascorso le ore immediatamente precedenti a quel famoso 26 luglio del 2012 curando ogni dettaglio nei minimi particolari: dai singoli termini del discorso da pronunciare di fronte alla platea londinese fino all’abbigliamento da indossare. Anche la cravatta, per dire, fu una scelta ben ponderata. Il numero uno della Bce optò per una blu con sottili disegni bianchi. La stessa che mise di nuovo più in là, quando comunicò a sorpresa che avrebbe tagliato tutti i tassi di riferimento del costo del denaro e alzato il programma d’acquisto di titoli di Stato. Il bis non passò inosservato. Tanto che, da allora in poi, quella fu definita «la cravatta delle grandi occasioni » e scatenò un " giochino" parecchio in voga tra gli addetti ai lavori: indovinare il colore della cravatta con cui Draghi si presenterà in conferenza stampa, in quanto segno premonitore sul tipo di annuncio da dare. Cravatta blu? Novità choc. Cravatta bordò? Niente di sconvolgente.

Sono trascorsi cinque anni esatti da quel giorno d’estate. Il quiz sulla cravatta non era ancora partito, ma il 26 luglio 2012 è destinato comunque a restare impresso nella storia dell’economia internazionale. Perché se il fallimento di Lehman Brothers del 15 settembre 2008 verrà ricordato come la data simbolo dell’esplosione della Grande Crisi, l’intervento di Draghi a Londra è l’istante in cui l’Europa e la moneta unica vivono una svolta decisiva. Va ricordato che il momento era drammatico: spread dei Paesi periferici esplosi, quello italiano oltre i 500 punti base, speculazione galoppante e fuori controllo, Eurozona a millimetri dal baratro insieme alla Grecia da cui partì il 'contagio'. Nel giorno più difficile da quando è alla guida della Bce, il presidente pronunciò la frase determinante: "Per salvare l’euro faremo tutto ciò che è necessario. E credetemi, sarà abbastanza".

È il discorso del whatever it takes, quello in cui Draghi evita con la sola forza delle parole che Eurolandia finisca in frantumi. Da lì in avanti è cambiato tanto, quasi tutto. E in meglio: dallo spread (che ora oscilla attorno a quota 150) agli indici di Borsa, dal Pil all’inflazione, dalla stabilità del sistema bancario al credito per imprese e famiglie. Ma, a cinque anni di distanza, proviamo a vedere nel dettaglio gli effetti di una politica monetaria ultraespansiva con il supporto dei dati contenuti in due studi effettuati da Andrea Iannelli, direttore Investimenti per l’obbligazionario di Fidelity International, e da Stefan Isaacs, responsabile del Reddito fisso in M&G Investments.

Partiamo dai costi del debito pubblico per i Paesi alla periferia dell’Eurozona che sono drasticamente calati. L’Italia attualmente paga un interesse del 2,2% circa per i prestiti decennali, un valore ben lontano dal 7,2% di cinque anni fa. Ai tempi le percentuali erano da brividi anche per Spagna (7.5%) e Portogallo (11%). Per non parlare della Grecia (27%). Tutti costi che si sono progressivamente ridotti fino a raggiungere un livello 'normale', fisiologico. La Bce, quindi, è riuscita nella sua missione. Come? Agendo da prestatore di ultima istanza e abbassando i costi di finanziamento impliciti a questi Paesi. Il mix di riforme strutturali, alleggerimento monetario e Pil in salita ha favorito la sostenibilità del debito di queste economie. E il ritorno di Atene sul mercato dei bond, avvenuto proprio a inizio settimana, è stata la ciliegina sulla torta preparata da Draghi. Nello stesso lasso temporale, inoltre, il bilancio dell’istituto centrale è lievitato, a testimonianza di come gli interventi siano stati massicci. La Bce ha fornito oltre mille miliardi di liquidità alle banche dell’Eurozona attraverso le operazioni previste nel pacchetto del Quantitative easing, così l’esercizio è cresciuto fino a superare i 4.000 miliardi di euro, una cifra pari al 35% del Pil dell’area euro. Dal whatever it takes a oggi, poi, c’è stato un ricco business per Borse e bond europei: il valore degli asset azionari e di quelli a reddito fisso, secondo alcuni calcoli, è aumentato di circa 5.000 miliardi di euro.

L’effetto Draghi, però, non si è limitato alla stabilità dei mercati del debito sovrano e del credito. I miglioramenti riscontrati sul piano finanziario lentamente hanno portato benefici anche all’economia reale, con più liquidità alle famiglie e alle realtà produttive (e a condizioni migliori). Ma più in generale nell’Eurozona stiamo assistendo a una ripresa che, col trascorrere dei mesi, aumenta di velocità e consistenza. La crescita, in base agli indicatori ufficiali, è arrivata a sfiorare il 2%. Mica male considerato che nella rovente estate del 2012 si era in piena recessione.

La politica monetaria accomodante, tuttavia, non è stata la panacea di tutti i mali. Basti pensare al lavoro. Il tasso dei senza impiego nell’area euro è sceso (al 9,3%) ma non abbastanza visto che la disoccupazione – specie in alcuni Paesi, tra cui l’Italia –, resta elevata e diventa altissima se si restringe il campo alle fasce più giovani della popolazione. Anche sui prezzi ancora non si è giunti a meta. Il target ideale della Bce – un’inflazione vicina al 2% ma non oltre tale soglia – non è a portata di mano, anche se la distanza non è più siderale come nel 2012: siamo all’1,3% Anche in virtù di questi traguardi non ancora tagliati, finora Draghi si è guardato bene dall’avviare il cosiddetto tapering, ovvero la riduzione degli stimoli da parte della banca centrale, in linea con l’azione che l’americana Fed ha intrapreso già da tempo. Il timoniere dell’Eurotower ha respinto con forza il pressing divenuto ormai asfissiante dei falchi tedeschi e in generale dell’Europa del Nord, che spingono per l’inversione di rotta. Secondo Draghi manca ancora qualche passo da compiere per completare il percorso avviato con il discorso di cinque anni fa. Poi si potrà procedere con la svolta sui tassi. E chissà che il momento giusto non sia intuibile con qualche minuto d’anticipo dal colore della cravatta.

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