venerdì 31 marzo 2023
Secondo Andrea Benigni, ad di Eca Italia, servirebbe una lettura “più morbida” sulla Blu Card, strumento introdotto nel 2014 dall’Ue per attirare professionisti extra-europei altamente qualificati
«Aziende senza tecnici: agevoliamo gli ingressi»

Reuters

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Le aziende italiane fanno sempre più fatica a trovare tecnici specializzati. Lo certificano da tempo report e analisi del mercato del lavoro. Secondo ad esempio i dati diffusi a febbraio del rapporto di Unioncamere e Anpal, per assumere operai specializzati e professionisti nell'ambito tecnico le aziende impiegano in media fino a 4 o 5 mesi per la difficoltà di individuare e selezionare i profili più adatti. Soluzioni? Poche, tra cui provare a selezionare personale dall’estero, ma con difficoltà burocratiche non indifferenti. «Le Direzioni delle risorse umane di aziende che operano nell’automazione industriale o nella meccanica di precisione sono in grado di reclutare tecnici internazionali ma poi non dispongono di uno strumento normativo che consenta loro di assumerli a tempo indeterminato in Italia – sottolinea Andrea Benigni, ad di Eca Italia, gruppo che si occupa di consulenza e servizi per la gestione del personale espatriato –. Una lettura “più morbida” sulla Blu Card, con particolare riguardo alla definizione di specializzazione, potrebbe ad esempio essere una strada che favorirebbe un confronto consistente con un dato di realtà che sfugge alle “logiche di partito”».

Benigni fa riferimento allo strumento introdotto nel 2014 dall’Ue per attirare talenti e professionisti extra-europei altamente qualificati, strumento cui però, a parte la Germania, i Paesi europei, Italia compresa, hanno fatto scarsissimo ricorso. « In Italia – spiega Benigni – questo strumento trova ricezione nell’art. 27 quater Testo Unico Immigrazione dove viene considerato “lavoratore straniero altamente qualificato” lo straniero in possesso di titolo di istruzione superiore post-secondaria di durata almeno triennale, dichiarazione di valore riferita al medesimo titolo e proposta di contratto di lavoro o offerta vincolante in italiano della durata di almeno 12 mesi. La retribuzione non deve essere inferiore al triplo del livello minimo previsto per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (circa 26mila euro)».

Secondo Benigni, «sul mercato internazionale ed in particolare in molti paesi extra Ue ci sono molti tecnici disponibili a lavorare in Italia: seppure diplomati presso istituiti equivalenti ai nostri Istituti Tecnico Tecnologici (quelli che un tempo chiamavamo Itis), spesso non dispongono però di un titolo di istruzione superiore post-secondaria di durata almeno triennale. Sono “solo” diplomati, ma con un bagaglio di esperienze tecnologico/ specialistiche molto importante». Un bagaglio di esperienze a cui le aziende italiane sarebbero ben disposte ad attingere. Né possono sopperire, di fronte alla domanda crescente delle imprese, i giovani lavoratori italiani. Secondo Benigni, «i nostri Istituti Tecnici Superiori, un’eccellenza del nostro sistema formativo, drenano solo parzialmente il gap tra domanda ed offerta. Ci sono specialisti di 45/50 anni, altri di 40, pochi di 35, rari tra i 20 e i 35». «Una parte consistente dei giovani diplomati preferisce iscriversi all’Università, della restante quota soltanto una parte entra nel mercato del lavoro, mentre il resto si perde in altre professioni – continua Benigni –. C’è quindi una domanda delle aziende nell’elettronica, nell’automotive, nell’oil&gas o nell’ingegneria di cantiere in cui c’è grande carenza di tecnici specializzati».

E dire che, secondo l’esperto, il problema non sarebbe nemmeno lo stipendio. «Un’azienda con 250-1.000 dipendenti che cerca un Tecnico Senior nell’area del manufacturing, del customer service o nelle manutenzioni straordinarie è disposta a offrire anche 30-50mila euro di salario lordo, per cui la questione di mancanza di manodopera non è economica – conclude –. C’è invece proprio un problema di numeri. La politica deve dare una risposta: l’inverno demografico del nostro Paese ha un riflesso pratico anche nel numero di ragazzi italiani che scelgono l’opzione del lavoro specialistico post-diploma, è un dato di fatto e non ha colore politico. Qui e ora le aziende chiedono, tra le altre cose, una revisione della definizione di specializzazione, così come disegnata dalle norme sulla Blu Card e dalla Bossi Fini. Si tratta solo di osservare il mondo reale e creare condizioni per sostenere la continuità operativa».

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